Quasi 400 anni di carcere complessivi. Una sola richiesta di assoluzione su 57 imputati. E la massima pena, 18 anni e 6 mesi, per Giovanni Castellucci, ex amministratore delegato di Autostrade per l’Italia, già in carcere dopo la condanna definitiva per la strage del bus di Avellino. È questo il bilancio della requisitoria dei pm di Genova nel processo per il crollo del ponte Morandi, che il 14 agosto 2018 costò la vita a 43 persone.

Secondo l’accusa, la tragedia è il frutto di vent’anni di mancate manutenzioni e di una gestione dominata da una logica di profitto che ignorò i segnali di pericolo.

«Un lord Voldemort del potere e del profitto»

A tre anni dall’inizio del processo, dopo oltre sei ore di udienza, il pubblico ministero Walter Cotugno ha elencato una per una le responsabilità degli imputati. Per Castellucci, definito in aula «un lord Voldemort che non si può neanche nominare», il pm ha parlato di «prestigio personale e profitto come unici motori dell’azione». «Livello di gravità? Enorme – ha spiegato Cotugno –. Forse non come altri casi, ma abbiamo cercato di trovare una gradazione». La requisitoria ha ricordato come la cultura aziendale dell’epoca avesse trasformato la sicurezza in un costo e le ispezioni in pratiche burocratiche di facciata.

Dopo Castellucci, la seconda richiesta più alta riguarda Michele Donferri, ex responsabile manutenzioni di Aspi, per il quale l’accusa chiede 15 anni e 6 mesi. “Mostrò la volontà di ritardare la progettazione dei lavori, per poi farli passare come potenziamento”, ha detto Cotugno. Seguono: Gabriele Camomilla, ex responsabile area tecnica Aspi: 14 anni; Mauro Malgarini, dirigente Aspi: 13 anni e 6 mesi; Emanuele De Angeli, progettista Spea: 13 anni; Maurizio Ceneri, coordinatore sicurezza Spea: 13 anni; Riccardo Mollo, ex Aspi: 12 anni e 8 mesi; Paolo Berti, dirigente Aspi: 12 anni e 6 mesi; Fulvio Di Taddeo, Aspi: 12 anni; Marco Vezil, sorvegliante del viadotto da Coronata: 12 anni

Una catena di responsabilità diffuse, che secondo l’accusa unisce «chi guardava il Morandi da lontano» a «chi certificava la sicurezza senza controlli reali».

Nella requisitoria, i magistrati hanno tracciato un filo rosso che collega la strage del bus di Avellino e le inchieste su Aqualonga al caso Morandi. «Le basi del disastro erano già state rivelate da quelle indagini – ha detto il pm –: una gestione fondata sul risparmio e su una catena di comando cieca». Un modello di manutenzione apparente che, secondo la Procura, è costato vite umane. E che solo oggi, dopo sette anni di udienze e perizie, arriva alla resa dei conti giudiziaria.

Terminata la requisitoria, il processo entra ora nella fase conclusiva. Dal 20 ottobre parleranno le parti civili, poi toccherà alle difese dei 56 imputati. L’obiettivo dichiarato è arrivare alla sentenza di primo grado entro l’estate 2026, a otto anni dalla tragedia del Polcevera.