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La sentenza del processo di Filippo Turetta per l’omicidio di Giulia Cecchettin nell’aula del tribunale di Venezia, Italia - 3 Dicembre 2024 - Cronaca (foto da frame video Pool Rai/LaPresse) The sentencing in the trial of Filippo Turetta for the murder of Giulia Cecchettin in the courtroom in Venice, Italy - Dec. 3, 2024 - News (photo from video frame Pool Rai/LaPresse)
«Tutta una manovra imposta dal suo avvocato per farlo sembrare buono e docile per poi giocarsi la chance al momento opportuno! Due ergastoli meriterebbe, non uno!», «cosa vorresti? Un applauso? In galera devi marcire!!!», «mostro pagherai solo con la morte le torture che hai inflitto alla povera Giulia», «carcere fino alla morte caro Filippo, l’ergastolo è troppo poco per quello che hai fatto», «anche se hai rinunciato all’appello sei comunque un mostro, questo gesto non ti nobilita affatto», «per te avanzo di escremento umano anche l’ergastolo è una pena blanda. Dovresti vivere molto a lungo nella sofferenza», «carissimi avvocati e giudici, auguro a voi che quello che è successo a Giulia Cecchettini non accade a voi. Dire che l’omicidio non era premeditato allora cos’è stato. Mahhhh.... lasciatelo marcire in galera e non trovate nessun ostacolo per diminuire la pena».
Il Tribunale dei social è in servizio permanente effettivo: quelli appena letti rappresentano infatti una minima parte di tutti i commenti che abbiamo potuto leggere su Facebook in merito alla circostanza che Filippo Turetta, il giovane reo confesso del delitto di Giulia Cecchettin, ha deciso di rinunciare all’appello e di accettare la condanna all’ergastolo inflitta dalla Corte d’Assise di Venezia il 3 dicembre 2024. Nulla di nuovo sotto il cielo. Ormai siamo abituati, purtroppo, a leggere questi commenti intrisi d’odio non solo verso l’imputato ma anche nei confronti del suo avvocato e dei giudici: il primo colpevole di averlo difeso, i secondi di aver escluso alcune aggravanti.
«Rinuncio all’appello, voglio pagare interamente per l’omicidio di Giulia Cecchettin». È questa la frase utilizzata dal giovane in una lettera scritta a mano e firmata di suo pugno, con cui ha comunicato la propria decisione. Con quel messaggio, indirizzato ai quattro uffici giudiziari veneziani coinvolti nel caso — la procura generale, la procura ordinaria, la Corte d’Assise e la Corte d’Appello — il 23enne ha di fatto chiesto di porre fine al suo percorso giudiziario, rinunciando a qualsiasi riduzione di pena, ad un mese dall’avvio del processo di secondo grado.
In questo modo gli avvocati difensori Giovanni Caruso e Monica Cornaviera rinunciano all’appello che poteva puntare all’esclusione della premeditazione da un lato e alla concessione delle attenuanti generiche dall’altro lato. Ora bisognerà capire cosa intende fare la procura. La prima udienza dell’eventuale processo di secondo grado sarebbe calendarizzata per il 14 novembre: il pm rinuncerà al suo ricorso per vedere riconosciute l’aggravante della crudeltà e degli atti persecutori? Se così fosse, passerebbe in giudicato la sentenza di primo grado, comprensiva delle statuizioni civilistiche.
Sulla crudeltà la Corte nella motivazione aveva scritto di mancanza di «elementi da cui poter desumere con certezza, e al dì là di ogni ragionevole dubbio, che egli volesse infliggere alla vittima sofferenze gratuite e aggiuntive». Quanto all’aspetto legato al numero di coltellate, i giudici avevano ricordato: «L’aver inferto settantacinque coltellate non si ritiene sia stato, per Turetta, un modo per crudelmente infierire o per fare scempio della vittima: come si vede anche nella videoregistrazione dell’ultima fase dell’azione omicidiaria, l’imputato ha aggredito Giulia Cecchettin attingendola con una serie di colpi ravvicinati, portati in rapida sequenza e con estrema rapidità, quasi alla cieca». Non si ritiene che tale dinamica, «come detto certamente efferata, sia stata dettata, in quelle particolari modalità, da una deliberata scelta dell’imputato, ma essa sembra invece conseguenza della inesperienza e della inabilità dello stesso», avevano scritto i giudici.
«Non me l’aspettavo. È una scelta che mi lascia proprio spiazzato. Non so cosa ci sia dietro, ma immagino che voglia trovare una forma di pace», ha affermato invece in una intervista al Corriere della Sera Gino Cecchettin, il padre della vittima. «Dal mio punto di vista cambia ben poco. Non c’è nulla al mondo che possa farmi stare meglio», ha affermato. «Io non potrò mai gioire di nulla, perché dietro c’è una tragedia troppo grande. Qualsiasi cosa succeda, io sono condannato a non rivedere Giulia». A Turetta «serve qualcuno che lo accompagni in un percorso vero, dentro se stesso. Penso che vada seguito, che sia necessario stargli vicino». Per la famiglia «non è il momento» di intraprendere un percorso di giustizia riparativa, perché «non ci sono state scuse, né una richiesta di perdono. In queste condizioni mi sembrava strumentale», ha concluso l’uomo. «Prendiamo atto di questa rinuncia all’impugnazione da parte di Turetta, che è una scelta processuale legittima quanto l’impugnazione in appello. Come parte civile non intendiamo commentare nel merito la scelta, perché noi non lo abbiamo mai fatto come parte civile», è stato il commento dell’avvocato Stefano Tigani, legale della famiglia Cecchettin.