Federica Mogherini, Stefano Sannino e Cesare Zegretti sono stati rilasciati nella notte, dopo essere stati interrogati dal giudice istruttore. Il rilascio allenta un po’ la tensione suscitata dal clamoroso arresto della ex Alta rappresentante per la politica estera della Commissione europea ma non la dissolve. I tre italiani sono infatti formalmente indagati e la vicenda non è dunque conclusa. I fatti contestati alla ex Lady Pesc, al diplomatico oggi segretario generale della Seae e al manager risalgono al 2020-2021 e non hanno nulla a che vedere con la crisi in Ucraina. Eppure è proprio sul fronte della guerra in Ucraina che in Italia e in Europa si teme la principale ricaduta della clamorosa indagine e della decisione di renderla ancora più fragorosa con le perquisizioni all'alba nelle sedi del Collegio d’Europa, di cui Mogherini è rettrice, e della Seae, poi con gli arresti.

Al ministero della Difesa, poche ore dopo il fermo dei tre, si lasciavano andare con la dovuta discrezione a ipotesi tanto suggestive quanto inquietanti e all'apparenza quanto meno improbabili. Non esitavano infatti a esternare il sospetto di una incursione da inscriversi nel quadro della “guerra ibrida” della Russia contro l’Europa. Subito dopo, e senza alcun obbligo di discrezione, il generale Bottice, ex primo portavoce dell'Ufficio europeo antifrode Olaf, sfiorava la stessa ricostruzione: «La Ue e gli Stati membri dovranno prendere ogni misura per evitare che la trasparenza delle proprie azioni contro frodi e potenziali irregolarità diventi strumento di guerra ibrida». A seguire una considerazione ben presente a tutti nel governo italiano: «Non credo sia un caso che Mosca sia stata la prima capitale a commentare la notizia».

In realtà la prima capitale era stata Budapest. Mosca però era arrivata subito dopo e peraltro i toni di Ungheria e Russia non sono molto diversi. Spingersi sino a sospettare una regia russa nell'indagine o almeno nella sua gestione mediatica sarebbe probabilmente esercizio di fantapolitica. Ma non c’è invece alcun dubbio sull’uso che degli arresti mirano a fare non solo Russia e Ungheria ma anche le forze politiche italiane più scettiche sul proseguire con la fornitura di armi a Kiev. In Italia tutti hanno evitato commenti, anche a costo di sacrificare un po’ di facile propaganda ai danni del partito di Mogherini, il Pd, tranne la Lega da un lato e il M5S dall’altro.

La corruzione è diventato un tema centrale nel labirinto della crisi ucraina e della sua soluzione che continua a sfuggire. Le opinioni pubbliche europee, fatti salvi i Paesi che temono di essere direttamente coinvolti come la Polonia e i Paesi baltici, è già molto tiepida nei confronti del costoso supporto all’Ucraina. L’idea che quei miliardi finiscano nelle tasche di qualche alto esponente del sistema di potere ucraino certo non spinge le popolazioni a un maggior consenso per i costi degli aiuti all'Ucraina. Se, in questo quadro già vacillante, si radicasse definitivamente l’idea che alla corruzione di Kiev corrisponde quella di Bruxelles il risultato in termini politici e di consenso sarebbe disastroso.

Per quanto riguarda il rinvio del decreto sulla prosecuzione degli aiuti militari a Kiev la contemporaneità con gli arresti di Bruges è certamente una coincidenza. A costringere il governo a rimandare, pur sapendo che l'iter parlamentare diventerà in questo modo non più snello come da versione ufficiale ma più ingolfato, è stata la resistenza della Lega. A corroborare e rafforzare quella resistenza non erano stati gli arresti del Belgio ma gli scandali di Kiev. Il quadro di una capitale ucraina dominata dalla corruzione a spese dei Paesi europei ha regalato a Salvini la forza per opporsi all'invio delle armi con decisione molto maggiore che in passato. Le ombre addensatesi anche sulla limpidezza delle cose a Bruxelles rinsalderanno ulteriormente la posizione del vicepremier leghista.

Ciò non significa affatto che il decreto sulle armi per l’Ucraina sia destinato al cestino. Al contrario, sia pure con qualche difficoltà in più del solito, la premier riuscirà a imporlo e non potrebbe fare altrimenti perché in ballo c'è la sua intera credibilità agli occhi di Bruxelles e dei principali Stati europei. Ma la sirena d'allarme sta già suonando a distesa e non si ammutolirà quando il decreto sarà approvato. Tra gli scandali, caso Mogherini incluso, la situazione sul fronte propriamente detto e il caos che emerge in ogni tentativo di azione comune e strutturata dell'Europa continuare a sostenere l'Ucraina diventa di giorno in giorno più difficile e a maggior ragione in Italia, dove quella causa non è mai stata troppo popolare. Col rischio che diventi, più prima che poi, impossibile.