Il piatto è troppo saporito e mediaticamente ghiotto per non calamitare l'attenzione: scontro diretto, frontale e prolungato di qui alle elezioni politiche, tra due donne, quelle che guidano i principali partiti di un Paese che, salvo esperienze troppo minoritarie per essere rilevanti, di donne leader non ne aveva mai conosciute. Una è presidente del consiglio l'altra leader, pur se non ancora riconosciuta, dell'opposizione: la simmetria è troppo perfetta per non incappare in narrazioni e sceneggiature sin troppo ovvie e prevedibili. La sfida c'è davvero. La simmetria pure ma solo parzialmente reale. Giorgia Meloni non ha bisogno di riconoscimenti: ci hanno già pensato gli elettori. Neppure Silvio Berlusconi, come leader di coalizione, era stato così forte e incontrastato. Elly non ha alcuna possibilità di incidere sulla sua designazione. Deve solo decidere come contrastarla, che maschera indossare, su quale propaganda le convenga puntare.

La situazione di Giorgia è opposta: lei, col solo fatto di 'scegliersi' l'antagonista diretto può avere un peso reale nella designazione del leader del fronte avversario. Ne è consapevole e si dà da fare. Nonostante il primato schiacciante del suo partito, Elly Schlein non ha infatti ancora in tasca la candidatura. Deve anzi guardarsi da molti e molto diversi possibili agguati. La minaccia più esplicita è rappresentata da Giuseppe Conte. Due volte presidente del consiglio, il leader dei 5S punta senza nasconderlo a scippare l'alleata/ rivale anche perché, così facendo, risolleverebbe automaticamente le sorti traballanti del suo partito.

Mediaticamente Conte è molto più forte del partito che guida. Come premier godeva di una popolarità vastissima e non solo nella base 5S. In tv è efficace e, come ex presidente del consiglio, può fronteggiare la premier sul suo stesso terreno. Schlein lo teme e Meloni pure. Se fa quel che può per accreditare la segretaria del Pd come controparte diretta è soprattutto per evitare il confronto con l' 'avvocato del popolo'.

Nel Pd e non solo all'interno del partitone è diffusa l'ipotesi di una discesa in campo di Silvia Salis, sindaca di Genova. Ha carattere e presenza scenica. Manterrebbe inalterato l' 'effetto donna' e ha il vantaggio della novità mai messa alla prova, che in Italia si è dimostrato negli ultimi dieci anni prezioso. Però è stata eletta prima cittadina da pochissimo e spostarsi sul campo nazionale così presto non le farebbe fare una buona figura. Di certo, se ci saranno, si candiderà alle prossime primarie ma, salvo terremoti possibili, difficilmente brucerà subito le sue carte invece di aspettare il prossimo turno.

Il rischio principale, per Elly, è l'improvvisata di un candidato 'civico' tirato fuori quasi all'ultimo momento, gradito a un elettorato centrista che al momento nel Campo Largo non ha rappresentanza e magari in grado di apparire ' provvidenziale' in caso di un braccio di ferro irresolubile tra la leader del Pd e quello dei 5S.

Tra tutte queste ipotesi, la premier considera Elly la meno pericolosa proprio perché troppo sbilanciata sul fianco sinistro e per questo fa quel che può per imporla come sua principale rivale. Il suo peso è naturalmente limitato, non può essere la leader della destra a decidere chi debba guidare la sinistra. Però quel peso non è neppure irrilevante. Una complicità di fatto tra le due prime donne della politica italiana c'è davvero e potrebbe avere ragione chi profetizza un asse di fatto sul fronte della non ancora certa però molto probabile riforma della legge elettorale.

Un duello tanto mediaticamente appetibile rischia di condizionare lo stile della prossima campagna elettorale. La politica in Italia è già soggiogato dai tempi e dalle modalità del combinato social/ tv: propaganda fatta di battute rapide, quanto più velenose possibile, spesso concentrate sulla persona invece che sulle scelte politiche. Questo stile rende inevitabile concentrarsi più su quel che il leader rivale ha detto che non su quello che ha fatto.

In Parlamento due giorni fa Giorgia Meloni ha attaccato la rivale accusandola di aver deliberatamente male interpretato una sua dichiarazione. Nel caso specifico aveva anche ragione, non avendo mai effettivamente accusato il Pd di essere «peggio di Hamas». La stessa premier, peraltro, non si è peritata di prendere di mira Elly forzando una sua frase, in realtà infelice, fino a farla suonare come l'accusa di aver in qualche modo permesso la bomba fatta esplodere di fronte a casa di Sigfrido Ranucci. Quale delle due regine abbia più da perdere in un anno e mezzo di botta e risposta di questo tipo lo diranno i fatti, anzi le prossime elezioni. La qualità già non eccelsa della politica italiana, in compenso, ha di certo tutto da perdere qualunque delle due prevalga.