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Il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni incontra il Presidente della Repubblica di Polonia, Karol Nawrocki a Palazzo Chigi, sede del Governo italiano a Roma, Giovedì 04 Settembre 2025 (Foto Mauro Scrobogna / LaPresse) Prime Minister Giorgia Meloni meets President of the Republic of Poland, Karol Nawrocki at Palazzo Chigi, the seat of the Italian Government in Rome, Thursday September 04 2025 (Photo by Mauro Scrobogna / LaPresse)
La strategia dell’understatement, scelta dal presidente americano Donald Trump dopo l’incursione dei droni russi in Polonia, è un macigno per Palazzo Chigi. Giorgia Meloni, che per due anni ha fatto della chiarezza sul sostegno a Kiev un marchio di fabbrica, si ritrova oggi con un ruolo indebolito di “ponte” tra Europa e Stati Uniti, proprio nel momento in cui la partita della sicurezza europea entra in una fase calda.
La sua voce, che in passato si era distinta per fermezza, rischia di restare inascoltata in un contesto in cui Washington non alza i toni e lascia a Macron, Starmer e Merz il compito di suonare l’allarme. Il colpo politico è doppio. Da un lato Meloni deve fronteggiare l’onda montante dei cosiddetti “putiniani d’Italia”, che fiutano la breccia aperta dall’ambiguità di Trump e tornano a parlare con toni provocatori.
Roberto Vannacci, vice segretario della Lega ed eurodeputato, ha rispolverato la sua retorica più ruvida: «Siamo al diciannovesimo pacchetto di sanzioni e la Russia continua ad avanzare lentamente ma inesorabilmente in territorio ucraino. Putin non è isolato e l’Europa continua a sprofondare in una crisi senza fine. Von der Leyen spinge per una guerra ad oltranza, è l’ora che faccia i bagagli e se ne torni a casa». Parole che hanno il sapore di un manifesto politico e che suonano come una sfida aperta a Meloni, chiamata a tenere insieme un’alleanza in cui Matteo Salvini non smette di flirtare con la narrativa filorussa.
Sul fronte opposto, le opposizioni colgono la palla al balzo per affondare il colpo. Carlo Calenda, leader di Azione, attacca senza mezzi termini: «Mentre i nostri aerei erano in volo per difendere la Polonia, il vicepresidente del Consiglio Salvini dichiarava di stare dalla parte di Putin. Io lo chiamo traditore della patria, perché questo è ciò che Salvini e Vannacci sono». Toni durissimi che rischiano di alimentare una polarizzazione inedita proprio mentre l’Europa discute di come rafforzare il fianco Est della Nato.
E qui arriva il secondo colpo per la premier: l’attivismo di Macron e Starmer, che insieme al cancelliere tedesco Merz si sono detti pronti a ulteriori impegni Nato nella regione. È la nascita di un asse che rischia di marginalizzare l’Italia, già criticata per le sue ambiguità. Quello che è successo nei cieli polacchi, infatti, non ha potuto che rafforzare la posizione del fronte dei volenterosi, che fino a qualche giorno fa era visto da Palazzo Chigi come allarmista e inutilmente bellicista, e che invece ha visto materializzarsi nelle ultime ore uno dei timori espressi dall’Eliseo e da Downing Street.
Tornando alle citate polemiche domestiche, Davide Faraone, vicepresidente di Italia Viva, sintetizza il malessere: «Se il governo italiano non è ai livelli di Orban o della Le Pen, in una ipotetica scala di europeismo l’Italia di oggi è più vicina a Orban che ai Volenterosi. Meloni ha disertato le riunioni con gli stessi Volenterosi e non ha osato far presente a Trump il continuo scadere dei suoi penultimatum».
Anche il Pd non manca di toccare quello che può definirsi un nervo scoperto: «Putin», afferma il capogruppo al Senato Boccia, «continua a bombardare l'Ucraina sentendosi più legittimato che mai. I droni russi sorvolano la Polonia, un Paese membro dell'Ue e della Nato. Si tratta di una violazione gravissima dello spazio aereo europeo che apre scenari inquetanti e che, guarda caso, avviene dopo le ambiguità di Trump che appare schierato dalla parte dell'autocrate russo, al di là di vaghe minacce. L'Italia vuole davvero giocare un ruolo o preferisce rimanere spettatrice? I tentennamenti della Presidente», ha proseguito, «sono evidenti: ha evitato vertici come quelli di Parigi, Kiev e con i 'Volenterosi', lasciando l'Italia ai margini proprio quando sarebbe servita una guida forte e presente».
Il quadro, insomma, è quello di un’Italia più silenziosa e più isolata, costretta or a a rincorrere i partner europei mentre si moltiplicano le voci interne a FdI e a FI che chiedono una censura per il leader del Carroccio e il suo vice. Per Meloni è una grana politica: o rilancia con un’iniziativa diplomatica che la rimetta al centro, o sarà costretta a inseguire le mosse altrui, con il rischio di apparire spettatrice della crisi. Una prospettiva che non si concilia con l’immagine della “premier di ferro” che ha saputo accreditarsi come interlocutrice globale.
Ma per riuscirci, la presidente del Consiglio dovrà appunto disinnescare la mina interna rappresentata da Vannacci e da una parte della Lega sempre più insofferente verso l’ortodossia atlantista. È su questo crinale che si giocheranno le prossime settimane: il governo Meloni sarà capace di parlare con una voce unica e di reggere la pressione che arriverà dalle cancellerie europee e da Bruxelles dopo l’affaire dei droni ? O la crepa aperta dall’ambiguità di Trump si trasformerà in una frattura, complice anche la partita parallela che si sta giocando sul tavolo delle candidature alle Regionali?