L’ultima dichiarazione di Donald Trump ha avuto l’effetto di un colpo di vento che cambia la direzione del fronte. «Putin sembra impazzito, così porterà alla caduta della Russia», ha detto il presidente americano, lasciando per strada quell’ambiguità filo- russa che tanto piaceva – e serviva – a Matteo Salvini e a Giuseppe Conte per giustificare la loro linea ultra-pacifista e contraria al riarmo. Uno scossone che a Roma ha ridisegnato, ancora una volta (e chissà per quante volte ancora) gli equilibri dentro la maggioranza di governo.

Giorgia Meloni, fino a pochi giorni fa in bilico tra il pressing leghista e le oscillazioni trumpiane, si ritrova ora con una finestra di opportunità politica. Il sostegno all’Ucraina, che sembrava diventato terreno minato per il governo, tra tentennamenti USA e fallimenti diplomatici europei, è tornato ad essere un asset solido, grazie anche alla netta posizione del tycoon repubblicano. La premier può così continuare a rivendicare la coerenza (o presunta tale) della sua linea di politica estera, evitando le accuse di subalternità a Washington e blindando, almeno per ora, il patto con Ursula von der Leyen sul riarmo europeo. Il cambio di tono di Trump non è irrilevante.

Anzi, ha effetti a catena: sgonfia le illusioni di un negoziato di pace imminente, dopo lo stallo degli ultimi colloqui di Istanbul, e rafforza la convinzione della parte più europeista della maggioranza che Putin non cerchi una tregua, ma una vittoria militare sul campo. Uno scenario che isola progressivamente le posizioni più morbide verso Mosca, interne ed esterne al centrodestra, e che riporta in auge Forza Italia.

Antonio Tajani esce corroborato da questo sviluppo, Meloni se ne rende conto, e infatti potrebbe rafforzarlo in chiave anti- Salvini. Ieri a Palazzo Chigi si è tenuto un vertice a tre, prima che del Consiglio dei ministri del pomeriggio. Da fonti governative si è specificato che si trattato di un appuntamento consueto, ma verosimilmente il summit, durato un’ora e mezza, è servito a fare un punto non banale in vista delle prossime scadenze.

C'è stato però un ingrediente che non si può definire consueto, e cioè i concomitanti scrutini provenienti dalle amministrative. I primi dati non hanno fatto sorridere la coalizione, specie dopo i segnali preoccupanti da Genova, dove sin dall'inizio si è profilata la sconfitta al primo turno del centrodestra. Un campanello d’allarme che suona forte in vista delle Regionali nelle Marche e in Campania, e che impone a Meloni, Salvini, Tajani di serrare i ranghi almeno nella narrazione pubblica. Il collante prescelto è il decreto sicurezza, bandiera identitaria utile a mostrare compattezza. Ma la distanza sui dossier internazionali resta.

Salvini, che fino a ieri cavalcava l’onda della trattativa con la Russia, oggi si ritrova spiazzato dal nuovo corso trumpiano. Il suo teorema perde spinta, mentre la retorica della pace a ogni costo mostra la corda di fronte all’evidenza: la guerra continua, Putin rilancia, e l’Europa non può permettersi di restare ferma.

Tanto meno l’Italia. Meloni sfrutta la nuova postura americana anche su un altro fronte: quello commerciale. Il mezzo passo indietro sui dazi annunciato da Trump – congelati, per ora, quelli più dannosi per l’export europeo – dà ossigeno a Palazzo Chigi. La presidente del Consiglio può così presentarsi al tavolo con Macron e con i “volenterosi” europei con un rinnovato peso negoziale. Una tregua, certo, non una pace definitiva: l’imprevedibilità di Trump resta un’incognita costante.

Ma nella tempesta, anche una giravolta favorevole può diventare capitale politico. Sul piano interno, tutto questo si traduce in un vantaggio per Meloni nel confronto con Salvini. Il leader della Lega, che da mesi punta sulla retorica pacifista per intercettare il malcontento di un pezzo dell’elettorato, si ritrova in difficoltà anche su questo fronte, dopo il braccio di ferro intrapreso niente meno che col Quirinale sui controlli antimafia per il ponte sullo Stretto. Potrebbe non bastare rilanciare sull’immigrazione o sul pugno duro per recuperare centralità, se nel frattempo si è tagliati fuori dal cuore delle scelte strategiche.

Per Meloni, dunque, risulta ora più agevole presidiare con prudenza l’area conservatrice europea, ovviamente senza rompere con Salvini, che resta indispensabile per tenere insieme la maggioranza. Ma i rapporti di forza si stanno spostando, e il vertice di ieri a Palazzo Chigi forse ha messo sul tavolo questo mutamento, dopo un cambio di scenario internazionale che rimescola le carte. La premier ha avuto buon gioco a godersi il vento a favore, ma da parte sua Salvini sa bene che Trump può cambiare idea di nuovo, o forse lo ha già fatto mentre questo giornale andava in stampa.