Di segnali ne ha mandati più di uno, anche se sommessi. Antonio Tajani resta fedele al suo stile sobrio, istituzionale, da mediano del centrodestra. Ma dietro ai toni pacati del ministro degli Esteri e segretario di Forza Italia, si intravede da settimane un malessere politico. Le geometrie interne della maggioranza si stanno spostando, e non nel senso auspicato dal leader azzurro. La missione a Londra di lunedì scorso ne è la prova più recente. Nella capitale britannica, Tajani ha partecipato alla riunione ministeriale del formato “Weimar+” – Francia, Germania, Italia, Polonia, Spagna, Regno Unito e Unione Europea – per discutere della guerra in Ucraina. Un vertice tecnico, in apparenza. Ma secondo qualche rumor di Palazzo, l’atmosfera per il ministro italiano non sarebbe stata delle più calorose. Più d’uno, tra gli omologhi occidentali, avrebbe fatto notare in modo implicito ma inequivocabile la scelta della premier Giorgia Meloni di non accompagnare Emmanuel Macron e Olaf Scholz nella missione congiunta a Kiev di qualche settimana fa. Una freddezza, o quantomeno un raffreddamento del clima, che Tajani ha dovuto incassare pur senza esserne direttamente responsabile. Ma il segnale è chiaro: su un dossier chiave come quello ucraino, l’Italia sta scivolando ai margini del gioco delle grandi cancellerie. E a farne le spese è anche il suo titolare della diplomazia.

Nel pomeriggio dello stesso giorno, Tajani è rientrato in Italia per presiedere a Verona un evento preparatorio alla conferenza sulla ricostruzione dell’Ucraina, in programma a Roma il 10 e 11 luglio. Presenti oltre 450 tra amministratori locali e aziende italiane, ucraine e internazionali. Una tappa importante, ma dalle ricadute soprattutto operative. Nulla che possa bilanciare, sul piano della visibilità politica, la sensazione di un progressivo isolamento rispetto all’asse franco- tedesco.

E non è solo questione di politica estera. A rendere più pesante l’aria attorno a Tajani è anche il clima interno al centrodestra. I sondaggi, da almeno un mese, confermano un dato che nel quartier generale forzista viene letto come una frustata: dopo il congresso della Lega, il partito di Matteo Salvini avrebbe – almeno secondo i sondaggi - operato il controsorpasso su Forza Italia e si sarebbe ripreso il ruolo di seconda forza della coalizione. Un risultato che, seppure modesto nei numeri assoluti, pesa simbolicamente in termini di equilibri interni.

E infatti l’attivismo del vicepremier leghista – tra dichiarazioni muscolari, selfie con gli alleati internazionali più impresentabili e incursioni quotidiane sui temi della sicurezza – sta rimettendo al centro del dibattito proprio il linguaggio e l’agenda politica di Salvini.

Tajani, che ha fondato la propria leadership su un profilo europeista e moderato, si trova così stretto in una tenaglia: da un lato, il silenzioso predominio di Giorgia Meloni su ogni dossier che conta; dall’altro, la rincorsa di Salvini a colpi di slogan. E allora il capo della Farnesina prova a rimettere al centro i capisaldi del suo partito: l’Europa, la ricostruzione postbellica, il rispetto istituzionale.

Gli appuntamenti come quelli di Londra e di Verona servono a segnare una presenza, a difendere un profilo. Ma non bastano a incidere sul piano dell’agenda politica. A ciò si aggiunge il malumore che più di un bene infomato gli attribuisce per alcune scelte strategiche della premier. L’assenza a Kiev è certamente una di queste. Tajani non lo dirà mai apertamente, ma la gestione solitaria della politica estera da parte di Meloni rischia di marginalizzare la vocazione atlantista e filoeuropea di Forza Italia. In pubblico, Tajani continua a sorridere, a evocare la stabilità, a offrire garanzie.

La sensazione, però, è che il leader azzurro voglia rilanciare l’identità del partito con maggiore decisione, magari anche mettendo in discussione l'eccessivo appiattimento su Palazzo Chigi. Ma il tempo stringe. Nei prossimi mesi ci sarà un'importante tornata di elezioni regionali, che daranno risultati certi e indicativi su quale sia attualmente il sentiment dell'elettorato in generale e del centrodestra in particolare. E Tajani lo sa: se vorrà evitare un nuovo ridimensionamento, dovrà far pesare le proprie istanze, con eleganza ma anche con coraggio.