Ogni promessa è debito, seppur elettorale. E il presidente francese Emmanuel Macron ha intenzione di portare a termine la sua sul fine vita a tutti i costi: forse con un referendum, ha annunciato il capo dell’Eliseo martedì scorso, in modo da uscire dallo stallo in cui versa la politica sui temi etici. L’arma segreta sarà sfoderata solo se necessario, dice Macron, ovvero se il percorso parlamentare cominciato lunedì 12 maggio dovesse naufragare ancora una volta.

All’esame dell’Assemblea nazionale ci sono due disegni di legge: una riguarda soltanto le cure palliative, l’altro il suicidio assistito. La scissione in due testi è stata imposta dal nuovo premier François Bayrou, che con quella che lo stesso Macron considera una “manovra dilatoria” ha cercato di aggirare le polemiche sulla proposta lanciata dal presente francese nell’aprile 2024 e interrotta bruscamente nel suo iter con lo scioglimento dell’Assemblea nello scorso giugno. Superata la bufera politica, il disegno di legge è tornato in Aula quasi uguale. Ma con molte incognite e polemiche, soprattutto per il rischio che a passare sia soltanto il testo sulle palliative promosso dall’esponente macroniana Annie Vidal ( Renaissance), sul quale ci sarebbe largo consenso.

Le difficoltà riguarderanno soprattutto la seconda proposta, presentata dal democratico Olivier Falorni ( MoDem), che rende legale il suicidio assistito e l’eutanasia a determinate condizioni, sancendo un “diritto all’aiuto a morire”. Dopo la discussione in prima lettura all’Assemblea nazionale, tra due settimane il testo dovrebbe passare al Senato, fino al voto unico previsto per fine maggio. Ma il dibattito tra destra e sinistra è già infuocato, e per approvare la legge occorrerebbero quattro letture.

«Penso che debba esserci prima un tempo parlamentare - ha spiegato Macron -. Ma se al termine di questa prima lettura, vedessimo che c’è un impasse, un’impossibilità di andare fino in fondo, allora penso che il referendum possa essere una via per sbloccare la situazione». Il più, ora, è capire se questa via sia percorribile. Dato che i giuristi francesi hanno molti dubbi sulla possibilità costituzionale di chiamare alle urne i cittadini su questo tema. Di per sé lo strumento del referendum, che Macron starebbe ipotizzando di utilizzare per diverse questioni, non viene utilizzato in Francia da vent’anni: l’ultima consultazione risale al 2005, quando Jacques Chirac ottenne un sonoro “no” alla ratifica del trattato che istituiva una Costituzione per l’Unione Europea.

In questo caso, la sfida non è solo politica, come è stata inizialmente per l’Italia con il referendum sull’eutanasia legale bocciato dalla Consulta. A Parigi la questione è soprattutto “giuridica”, dal momento che in Francia il referendum è uno strumento di democrazia diretta promosso dal Presidente della Repubblica, che secondo l’articolo 11 della Costituzione può riguardare solo alcuni ambiti specifici: “l'organizzazione dei poteri pubblici”, “l'autorizzazione a ratificare un trattato internazionale”, “le riforme che riguardano la politica economica, sociale o ambientale della nazione e i servizi pubblici che vi contribuiscono”.

Come riporta Le Monde, per il costituzionalista francese Dominique Rousseau «la riforma del fine vita riguarda i diritti e le libertà individuali, quindi non rientra nel campo dell’articolo 11». Salvo che non si consideri il fine vita come “politica sociale”. La pensa ugualmente il giurista Benjamin Morel, il quale sottolinea che «la legge sull’aiuto a morire prevede di “depenalizzare” un atto letale», laddove la depenalizzazione non può essere oggetto di un referendum. A sciogliere il dubbio sarà eventualmente la Corte Costituzionale francese. Ma è possibile che quella di Macron sia solo una mossa tesa a scuotere la politica affinché trovi l’intesa su un «testo equilibrato» che porti a una legge «di umanità, di fratellanza». La Francia ci prova da almeno 20 anni, dal 2005, dopo il caso di Vincent Humbert: rimasto tetraplegico, muto e quasi cieco dopo un terribile incidente stradale, Vincent chiese il diritto a morire al presidente Chirac, che glielo negò. Nel 2014 ci ha riprovato il presidente François Hollande. E nel 2016 è arrivata la legge Claeys-Leonetti, che consente la sedazione profonda e continua in determinate condizioni e si oppone all’accanimento terapeutico.

Ora l’obiettivo è stabilire alcuni requisiti per accedere al suicidio assistito. Il testo approvato nella scorsa legislatura ne prevede 5: essere francesi, maggiorenni, poter esprimere la propria volontà liberamente e in modo consapevole, essere affetti da una patologia grave e incurabile che “mette in pericolo la vita in fase avanzata o terminale” e provare una sofferenza fisica o psicologica insopportabile. Ma il timore, per chi si oppone, e provocare una “rottura antropologica”: un capovolgimento dell’etica comune.