La conclusione era scontata in partenza: cosa avrebbero potuto dire giovedì sera i capidelegazione al governo, cioè i rappresentanti dei partiti, di fronte alla sfuriata di Draghi, alla minaccia di andarsene, al peso del precedente colloquio tra il premier e un capo dello Stato del tutto solidale? Non c'era alternativa alla rassicurazione, alla garanzia che il fattaccio, governo battuto per quattro volte consecutive sul Milleproproghe e maggioranza in ordine sparso, non si ripeterà. Nessuno ci giurerebbe davvero ma altro non si poteva dire.

Meno usuale il corso del rovente e fulmineo chiarimento. I capidelegazione non si sono cosparsi il capo di cenere come d'abitudine. Hanno provato a tenere botta, chiesto apertamente a Draghi, nessuno escluso, di «cambiare metodo» coinvolgendo i partiti nel processo decisionale. Anche qui l'esito era scritto in anticipo. Il premier ha sostenuto che il coinvolgimento dei partiti è già e resterà pienissimo. Non è vero ma non si poteva discutere oltre perché l'incidente andava dichiarato chiuso. Non lo è e non può esserlo. Non è neppure il primo: già la settimana precedente il governo era stato battuto due volte, in questo caso al Senato.

Nella scorsa settimana i partiti tutti hanno ripetuto pubblicamente che se lo sblocco della cessione dei crediti per il Superbonus non sarà soddisfacente provvederanno loro a modificare l'emendamento in Parlamento. Insomma, lo scivolone di mercoledì notte in commissione Bilancio alla Camera, non è un episodio increscioso e isolato ma lo specchio di un cambiamento profondo dei rapporti sia tra le opposte anime della maggioranza, sia, e forse anzi soprattutto, tra i partiti e palazzo Chigi.

Il punto di svolta non è stata l'elezione del presidente della Repubblica ma la legge di bilancio. La politica ha subìto una manovra nella quale non ha avuto voce in capitolo con insofferenza crescente e alla fine con lo spirito di chi accetta l'ultimo sacrificio ma deciso a non farne altri. Draghi, dal canto suo, è arrivato come commissario e non sa concepire diversamente il proprio ruolo. Il concetto che avrebbe espresso nella strigliata di giovedì, «Il governo è qui per fare le cose, la maggioranza deve garantire i voti in Parlamento», rivela una concezione della politica, e per la verità anche del ruolo costituzionale del Parlamento, precisa ma incompatibile con la comprensibile intenzione della politica di tornare a pesare e contare.

Due elementi precisi, uno noto in anticipo ma l'altro imprevisto, complicano le cose. L'imminente campagna elettorale quasi obbliga i partiti alla dinamica centrifuga, in una maggioranza così improbabile e necessariamente conflittuale. Si sapeva che sarebbe stato un oggettivo ostacolo ma nessuno immaginava una crisi energetica, con conseguente impennata dell'inflazione, quale quella che stiamo iniziando a traversare. È un guaio gigantesco su tutti i fronti, anche su quello degli equilibri politici perché mentre l'abbinamento tra ripresa e disponibilità dei fondi europei avrebbe permesso di accontentare un po' tutti i partiti della maggioranza con relativa facilità, il quadro molto meno espansivo che si prospetta ora spinge in direzione opposta.

In questa situazione ci sono probabilmente tre esiti diversi e tutti possibili. Il primo è l'esplosione, se non immediata almeno nelle vicinanze della legge di bilancio, che porterà tutti i nodi al pettine. Ma è proprio la debolezza della politica, coniugata con un quadro di grande e oggettiva difficoltà, a frenare uno sbocco che in circostanze diverse sarebbe quasi inevitabile.

La seconda è un atto di autorità di Draghi, spalleggiato in questo dal presidente Mattarella, una spinta per riprendere in mano completamente le redini rintuzzando le ambizioni un po' revansciste della politica. Con le elezioni dietro l'angolo neppure questa via è facilmente percorribile.

La terza ipotesi è una tensione continua, sia fra le varie forze di maggioranza sia tra questa è il capo del governo, destinata a non esplodere ma in compenso a incombere, rallentando e in alcuni casi paralizzando tutto. Fra le tre ipotesi è quella che più probabilmente si rivelerà vincente. È anche quella più rischiosa, se non subito nel giro pochissimo tempo.