Esiste una fronda nel Partito democratico che sta cercando di muoversi nemmeno troppo sotto traccia, e continuerà a farlo per tutto il fine settimana, in vista della direzione di lunedì nella quale i vertici del Nazareno spiegheranno la posizione del partito sui cinque referendum sulla giustizia ammessi dalla Corte costituzionale.

A dire la verità la linea dem è già piuttosto chiara e si basa sull’assunto che almeno tre dei cinque quesiti, cioè quelli che interessano il funzionamento dell’ordinamento giudiziario, saranno assorbiti dalla riforma della ministra Cartabia approvata pochi giorni fa dal Consiglio dei ministri e ora al vaglio del Parlamento. Ma a molti questa appare come una fuga dalle responsabilità, perché oltre agli altri due quesiti sui quali una posizione dovrà pur essere assunta, il punto decisivo sarà decidere cosa fare nel caso in cui la riforma non dovesse arrivare in tempo o venga emendata in maniera tale da non assorbire le tematiche dei referendum.

In quel caso, spiega al Dubbio Valeria Fedeli, senatrice di alto rango nelle gerarchie dem, «quello che non può accadere è che noi come Pd abdichiamo o in qualche modo ce ne laviamo le mani, senza esprimere un’identità molto forte sullo stato di diritto, cioè senza porci quali paladini del garantismo rispetto alle altre forze politiche». Secondo Fedeli «tutto il partito è d’accordo sul fatto che bisognerebbe operare in Parlamento per rispondere nel merito ai quesiti referendari», ma nel caso in cui non dovesse trovarsi una quadra «si dovrà scegliere di partecipare e valutare nel merito i singoli punti».

Il ragionamento va ancora oltre, e qui casca l’asino. «Bisogna tuttavia anche tenere conto - conclude Fedeli lanciando una mezza provocazione - del fatto che le riforme che includono i temi dei referendum non sono mai state affrontate in Parlamento, anche con condizioni politiche più favorevoli al centrosinistra, e questo dovrebbe farci riflettere». A molto più di una riflessione invita Enza Bruno Bossio, deputata dem e membro della commissione Giustizia, che spiega di aver sottoscritto i referendum «perché entrano nel merito delle questioni più spinose che oggi riguardano la giustizia».

Dicendosi «dispiaciuta» dell’inammissibilità del quesito sulla responsabilità diretta dei magistrati, «pur capendo l’obiezione della Corte», spiega di non comprendere «perché il Pd non dovrebbe essere d’accordo sui cinque quesiti ammessi». Sia su quelli riguardanti il Csm, riforma Cartabia o meno, sia sugli altri. «Sulla Severino - ragiona la deputata - ho sottoscritto la legge a prima firma Ceccanti che modifica la decadenza di un membro delle istituzioni dopo una condanna in primo grado, visto che il nostro ordinamento prevede tre gradi di giudizio».

Secondo Bruno Bossio poi «l’abuso delle misure cautelari va limitato e il Pd, essendo un partito progressista, non può che essere d’accordo». Così come sulla separazione delle funzioni, perché «i pm non sono più coloro che indagano rapportandosi alla difesa ma ormai giudicano in nome del popolo» che poi, prosegue, «è il modello di Mani Pulite, che va limitato e l’unico modo per farlo è separare le funzioni tra pm e gip». Perché allora il Pd è così renitente verso i quesiti appena ammessi dalla Corte? «Perché - conclude l’esponente dem - credo che stia prevalendo un posizionamento miope in vista delle elezioni 2023 nel rapporto coi Cinque Stelle, ma così facendo il Pd fa un doppio errore, sia di merito che di metodo: i posizionamenti che prevalgono sul merito non sono utili né al partito né al paese».

Prova a smorzare i toni Franco Mirabelli, capogruppo dem in commissione Giustizia al Senato, secondo il quale sui tre quesiti toccato anche dalla riforma Cartabia «se si arriverà a referendum credo che voteremo sì, sapendo tuttavia che la strada maestra è far approvare il maxiemendamento del governo».

Ma è sui quesiti riguardanti la legge Severino e le custodie cautelari che la miccia si riaccende, stavolta contro i colleghi di partito pronti a votare a favore. «Escluderei la possibilità del voto favorevole sulla custodia cautelare e sulla Severino, perché gli effetti del sì sarebbero devastanti - chiosa Mirabelli - Riguardo al primo, non si potrebbero più mettere nemmeno i braccialetti agli stalker, dal momento che sarebbero tolte tutte le custodie cautelari, non solo quella in carcere, e questo non è ammissibile; sulla Severino, un conto è dire che non ci può essere alcuna sospensiva per chi è in carica fino a sentenza definitiva, un altro è cancellare la legge con l’ipotesi di lasciare che un mafioso possa candidarsi ed essere eletto in Parlamento o in una giunta comunale o regionale: gli effetti sarebbero pesantissimi».

Per poi rimandare tutto alla direzioni di lunedì. «Siamo un partito e in quanto tale da lì uscirà la nostra posizione ufficiale» , conclude. Nel frattempo, però, qualcuno dovrà provare a chiudere una crepa ormai aperta e che dà l’impressione di potersi soltanto allargare.