«Merita attenzione la situazione delle carceri, nelle quali i detenuti vivono spesso in condizioni di penoso sovraffollamento. Un segno di clemenza verso di loro mediante una riduzione della pena costituirebbe una chiara manifestazione di sensibilità, che non mancherebbe di stimolare l’impegno di personale recupero in vista di un positivo reinserimento nella società».

Era il 14 novembre del 2002, quando Papa Giovanni Paolo II, già profondamente segnato dalla malattia, si spinse di fronte alle camere riunite a Montecitorio a invocare esplicitamente l'amnistia, o quanto meno l'indulto, per i detenuti. Una richiesta accorata, avanzata in modalità inedite proprio nel luogo del legislatore, dopo che un eguale appello del Pontefice alla vigilia del Giubileo del 2000 andò completamente inascoltato dalla classe politica.

Otto anni prima, infatti, l'ondata giustizialista che aveva accompagnato l'inchiesta Mani Pulite aveva determinato, oltre alla sensibile riduzione dell'immunità parlamentare, anche l'innalzamento del quorum necessario per l'approvazione di provvedimenti di clemenza ai due terzi del Parlamento. Il problema, però, era che al giro di vite legislativo non corrispose alcun miglioramento dal punto di vista dell'efficienza e della sostenibilità, del sistema penitenziario. Col risultato che nei momenti di sovraffollamento acuto (al netto di quello cronico) non era più a disposizione tale possibilità, visto che le forze politiche che dovevano la propria fortuna elettorale alla stagione giustizialista avevano gioco fin troppo facile a mettersi di traverso rendendo impossibile l'approvazione. E difatti, Lega, An e Italia del Valori furono irremovibili, tanto che nemmeno la deferente richiesta del Papa di fronte ad un emiciclo commosso ebbe alcun seguito.

Dovette intervenire la morte del Sommo Pontefice, nel 2005, affinché il dossier amnistia venisse riaperto in maniera efficace, da una parte per il lavoro diplomatico del Vaticano, che seppe far convergere una parte del centrosinistra sulla necessità di un atto di clemenza, e soprattutto per il passo intrapreso dall'allora premier Silvio Berlusconi, il quale vinse il proprio iniziale scetticismo, dovuto a preoccupazioni di natura elettorale, e garantì l'appoggio di Forza Italia. Ne venne fuori, nel 2006, un indulto in versione ridotta, che prevedeva uno sconto di pena di tre anni, ad eccezione di una serie di reati ritenuti particolarmente gravi, come mafia, terrorismo e violenza sessuale.

Inoltre, lo sconto sarebbe stato annullato nel caso di recidiva nei cinque anni successivi all'entrata in vigore della legge. Sebbene si fosse trattato non dell'amnistia inizialmente gradita a Papa Giovanni Paolo II, il provvedimento fu utile a portare respiro agli istituti di pena, che però piombarono rapidamente nella situazione inumana e insostenibile nella quale versano attualmente. Nonostante la portata ridotta dell'indulto, la discussione parlamentare fu accompagnata da polemiche roventi, e alcune forze politiche che avevano fatto dell'ultragiustizialismo e della narrazione securitaria il proprio punto di forza non mancarono di cavalcare propagandisticamente anche l'iter del provvedimento.

Dura fu l'opposizione della Lega e di Alleanza Nazionale, che tra l'altro facevano parte della maggioranza di governo, mentre dall'opposizione ci fu chi, come Idv, che arrivò a pubblicare sulla home page del proprio sito il nome e la foto dei parlamentari che avevano detto sì all'indulto.

A giudicare da alcune dichiarazioni delle ultime ore, da quando cioè la dipartita di un altro Pontefice ha rimesso in campo l'ipotesi di un indulto (di portata ancora minore di quello del 2006), è lecito pensare che il canovaccio purtroppo non sarà differente.