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RENZI E GENTILONI
Da un lato, il magro risultato del M5S nelle Marche, in Calabria e in Toscana che fa alzare più di un sopracciglio in casa Pd.
Dall’altro un’altra “casa”, quella riformista, che gode dei buoni risultati alle Regionali (in attesa di Campania, Puglia e Veneto) ma nella quale gli inquilini sembrano già litigare tra loro, con i pesanti attacchi dell’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi all’altro ex omologo, Paolo Gentiloni.
È il riassunto di quanto prodotto dalle parti del campo largo dal voto in Toscana, che ha confermato Eugenio Giani alla guida della Regione dopo un’intensa campagna elettorale cominciata con più di un dubbio da parte della dirigenza dem proprio su Giani. Perché ora che tutti godono del successo in pochi ricordano quando, in piena estate, il presidente uscente, già dato ampiamente in vantaggio dai sondaggi fu costretto a scendere a Roma per parlare a quattr’occhi che con la ex vicepresidente del Senato, Paola Taverna, per la firma del “patto” con all’ordine del giorno diversi punti chiave del grillismo duro e puro, come il no ad alcune infrastrutture. Risultato? Sia la base dem che quella pentastellata storsero il naso di fronte a quell’accordo, mal digerito a dire la verità anche dallo stesso leader M5S Giuseppe Conte. Anche perché, numeri alla mano, il Pd di quell’accordo non aveva bisogno. Il misero 4,3% ottenuto dal M5S ha dimostrato che i dem avrebbero vinto anche senza, e che anzi allargare l’alleanza ha fatto perdere al Pd sette seggi, avendone in mano 15 nella prossima consiliatura rispetto ai 22 che aveva in quella uscente.
Chi ci ha guadagnato, oltre agli stessi pentastellati, è Casa riformista, cioè la “tenda” sotto la quale confluivano diverse sigle tra cui Italia viva, che in Toscana ha il suo bacino di voti più grande. O sarebbe meglio dire a Firenze, visto che nel Comune capoluogo i renziani hanno toccato il 15%, contro il 27% del Pd che fa segnare il peggior dato regionale e che segnala forse più di un problema ai vertici fiorentini del partito.
L’astuzia del leader di Iv è stata quella di buttarsi sulla civica del presidente uscente così da attrarre anche i voti “personali” di Giani, prendendosi poi i meriti per il risultato di una lista che certo non corrisponde alla sola Iv. Va anche detto, tuttavia, che la lista era composta per lo più da renziani di ferro come Stefania Saccardi, Francesco Casini, Stefano Scaramelli e altri, tutti nomi forti del renzismo toscano.
Fatto sta che Renzi sta rivendicando fortemente il risultato, spiegando che quanto accaduto «è solo l’inizio». Nella sua e- news l’ex inquilino di palazzo Chigi ha scritto infatti che «se creiamo un polo riformista e moderato - nel centrosinistra la coalizione è più equilibrata e si vincono le elezioni» mentre «in alternativa la Meloni va al Quirinale e vediamo crescere i nostri figli con Lollobrigida, Urso e Salvini fissi al Governo».
Parlando poi di «svolta straordinaria» e invitando a «spalancare le porte del progetto, non chiuderci a difesa del fortino». Concetti ribaditi in un’intervista a La Stampa in cui tuttavia ha anche attaccato frontalmente colui che gli succedette a palazzo Chigi, Paolo Gentiloni. Dopo le critiche dello scorso weekend fatte da Gentiloni a Schlein, Renzi spiega che dall’ex commissario europeo servirebbe «più generosità» perché «se anziché fare la morale a Schlein desse una mano a trovare i voti, sarebbe un più credibile».
Per poi paragonare l’ex ministro degli Esteri ai «professionisti di X», cioè «commentatori del giorno dopo, gente che non sa cosa sia il consenso ma vive nel mondo dei social». Pensieri piuttosto duri che ai quali nel momento giornale va in stampa Gentiloni non ha replicato, ma che testimoniano di per sè quando la costruzione di una casa moderata e riformista nel campo largo sarà difficoltosa. L’impressione è che se Gentiloni aveva chiesto un chiarimento a Schlein sull’alleanza con il M5S, Renzi il M5S punta a renderlo ininfluente nell’alleanza. Una sfumatura di certo piccola, ma altrettanto decisiva.