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ROBERTO VANNACCI GENERALE E MATTEO SALVINI POLITICO
Ora il processo a Salvini potrebbe avere una location fortemente simbolica. Il ritorno del Consiglio federale nella storica sede di via Bellerio, convocato per il 21 ottobre, segna infatti un passaggio cruciale per la Lega. Non accadeva da più di un anno che il segretario riunisse i vertici del partito a Milano. All’ordine del giorno ci sono la legge di bilancio, le proposte sulla sicurezza e un bilancio politico dopo il voto in Toscana, ma in realtà la partita vera sarà un’altra: quella della leadership.
Dopo il tracollo elettorale, la tensione interna è alle stelle e i malumori, da tempo latenti, si stanno trasformando in aperta contestazione. Il “processo al segretario”, dunque, si consumerebbe proprio dove tutto è cominciato, nella casa madre della Lega. A far salire la temperatura sono le parole dei governatori del Nord e di alcuni dirigenti che fino a ieri avevano difeso il leader. Attilio Fontana, fino a qualche mese fa cauto, stavolta non ha fatto giri di parole: «Dobbiamo essere il partito dei territori e della gente. Forse bisogna rivedere qualcosa. La Lega deve riprendere in mano i suoi valori e difendere il modello lombardo». Una frase che pesa, perché pronunciata dal governatore della regione simbolo del potere leghista e da uno degli uomini storicamente più leali verso Salvini.
Non meno significativa la posizione di Riccardo Molinari, capogruppo alla Camera e figura chiave del partito parlamentare. «Alle elezioni toscane abbiamo commesso un errore – ha detto –. La Lega è forte quando parla di autonomia e di territorio, non quando lancia messaggi ideologici e di parte». Un riferimento diretto al generale Roberto Vannacci, voluto da Salvini come vicesegretario federale e oggi diventato il simbolo delle divisioni interne. «Buona parte dei nostri elettori – ha aggiunto Molinari – non si è riconosciuta in quel messaggio». La gestione del caso Vannacci è infatti il detonatore di uno scontro più profondo, che riguarda la direzione stessa del movimento.
I “nordisti” accusano Salvini di aver snaturato la Lega trasformandola in un partito personale, centralista e privo di identità territoriale. E se per ora le critiche arrivano con toni controllati, nelle chat e nei circoli locali la rabbia monta. C’è chi parla apertamente di «fallimento della linea sovranista e nazionalista» e chiede una svolta radicale: «O si sceglie il Nord, o si sceglie Salvini», è il messaggio lanciato da Patto per il Nord, l’area che fa riferimento agli ex amministratori più legati alle origini federaliste e che hanno abbandonato il partito in tempi non sospetti.
A rendere più delicata la situazione, la vigilia elettorale in tre regioni – Campania, Puglia e soprattutto Veneto – dove rischia di profilarsi quella che sarebbe la “madre di tutte le fratture”: quella tra Salvini e Luca Zaia.
Il governatore veneto, escluso dal simbolo e dalla possibilità di presentare una lista civica, ha parlato con ironia tagliente: «Se sono un problema, vedrò veramente di crearlo questo problema». Parole che suonano come un avvertimento diretto al segretario, tanto più alla vigilia della convention di Padova dove entrambi sono saliti sullo stesso palco.
Nel frattempo Salvini cerca di spostare l’attenzione sulla manovra economica, rivendicando la «rottamazione definitiva delle cartelle esattoriali» come misura di giustizia sociale e bandiera identitaria della Lega di governo. Ma la narrazione del “capitano del popolo” sembra ormai sfilacciata. I governatori guardano ai territori, i parlamentari chiedono pragmatismo, e i militanti del Nord reclamano autonomia e risultati concreti. Il 21 ottobre, in via Bellerio, non si discuterà solo di bilancio e sicurezza.
Sarà il banco di prova per capire se Salvini è ancora in grado di tenere con mano salda un partito spaccato tra nostalgie padane e ambizioni nazionali. Per la prima volta dopo anni, il segretario dovrà affrontare i quadri non da ministro o vicepremier, ma da leader messo in discussione. E l’esito del confronto potrebbe decidere non solo il futuro della Lega, ma anche gli equilibri dell’intero centrodestra.