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NICOLA FRATOIANNI, ELLY SCHLEIN, GIUSEPPE CONTE E ANGELO BONELLI POLITICO
Dal braccio di mare di fronte a Gaza lo scontro si sposta in Italia: nelle strade percorse da cortei e manifestazioni, nelle scuole e nelle facoltà occupate, nei luoghi di lavoro dove oggi scatterà il primo sciopero generale congiunto dichiarato da Cgil, Usb e Cobas, e anche nelle aule del Parlamento.
L’opposizione sente di essere riuscita ad addentare il governo e affonda più che può. Non che l’accusa mossa dalla premier alla Flotilla, quella di avere come obiettivo mettere in difficoltà il suo governo, fosse fondata. Era anzi un po’ dissennata e testimoniava dello stato di estremo nervosismo in cui si trova Giorgia. Ma è ovvio che, vista l’occasione, il Campo largo la sfrutti.
Fratoianni, Conte e Schlein battono in perfetta assonanza sullo stesso tasto, quello della Storia: il governo sta coprendo il Paese di una vergogna che troverà posto sui libri di storia, gli attivisti stanno salvando l’onore d’Italia. Un po’ quel che si è sempre detto dei partigiani e l’iperbole è in effetti molto più che forzata ma la propaganda è fatta di questo materiale.
Tajani, evidentemente rilassato per l’assenza di incidenti gravi durante l’arrembaggio israeliano, aveva in realtà fatto forse il suo miglior discorso da ministro degli Esteri. Conciliante, a tratti ecumenico, più critico nei confronti del governo israeliano di quanto nessun rappresentante del governo sia mai stato, insistente, anzi martellante, sul sostegno alla nascita dello Stato palestinese, puntuale nel ribadire la difesa del diritto a esistere di Israele e nel denunciare l’antisemitismo che continua a montare. L’obiettivo conclamato era ottenere il voto dell’intero Parlamento a favore di una mozione ridotta all’osso: il sostegno al piano di pace Trump e non una parola di più.
Obiettivo fallito: i leader del centrosinistra hanno ripetuto in coro che il governo, dopo due anni di silenzio sulle stragi e senza riconoscere «senza condizioni» lo Stato palestinese non può chiedere adesso compattezza. Azione e Iv invece hanno votato e Iv ha presentato una sua mozione praticamente identica appoggiata anche da alcuni deputati della minoranza Pd.
Gli altri però, pur denunciando nei loro interventi i limiti della proposta Trump, non se la sono sentita di bocciarla e si sono astenuti. La risoluzione del governo è passata senza nessun voto contrario e anche se FdI era o si fingeva irritata per il gran rifiuto Giorgia potrebbe accontentarsi senza sforzo.
Molto più pesanti gli interventi in Aula. Elly va giù pesantissima, per una volta, più efficace del competitor a Cinque stelle: «Noi siamo sempre stati per la pace. Voi avete aspettato il permesso di Trump. Con quale ipocrisia venite qui a fare finti appelli all’unità mentre Meloni, con la clava ci accusa di essere contro la pace? Dite sì alle sanzioni contro i ministri israeliani più estremisti solo perché sapete che ci vuole l’unanimità nella Ue e qualche altro governo le bloccherà».
Ma l’affondo vero, quasi un goal a porta vuota, è un altro: «Domani il Pd sarà in piazza con gli scioperanti. Non è accettabile che i manifestanti vengano criminalizzati e nemmeno l'attacco di Meloni al diritto di sciopero e la minaccia di precettazione».
A parlare di possibile precettazione era stato in realtà Salvini e il garante gli ha dato ragione, dichiarando illegale uno sciopero generale proclamato senza preavviso.
Ma Giorgia si era davvero scagliata contro lo sciopero e con toni che confermano uno stato di tensione che le toglie lucidità: «Il popolo italiano affronterà nei prossimi giorni gravi disagi per una questione che mi pare c’entri poco con la questione palestinese». Poi la vera e propria caduta di stile che ha permesso a Schlein un contropiede efficace: «Mi sarei aspettata che almeno su una questione che reputavano così importante, i sindacati non avessero indetto uno sciopero generale di venerdì, perché il weekend lungo e la rivoluzione non stanno insieme».
La premier, dunque, è ancora tesissima e non se ne comprende bene il perché. Nei giorni scorsi il nervosismo estremo e la conseguente aggressività si potevano spiegare con la paura di un incidente grave al momento dell’intervento israeliano contro la Flotilla.
Ieri però quella paura non aveva più ragion d’essere e la sola spiegazione è dunque l’assenza, per la prima volta da anni, di una sintonia profonda tra la leader della destra e buona parte degli italiani. E di conseguenza la paura che quella mancanza di sintonia porti alla fine dell’incanto che le ha permesso di conservare intatti in tre anni di governo la fiducia e il consenso di moltissimi elettori.
Una paura che nelle prossime ore potrebbe rivelarsi pessima consigliera, spingendo il governo ad abbandonare la linea prudente e tesa a evitare tensioni inutili con la quale ha sin qui fronteggiato le manifestazioni per passare al pugno duro.