Il lavoro sul Recovery plan è impostato, l'Italia è uno dei Paesi più vaccinati al mondo: ora il governo può continuare «indipendentemente da chi ci sarà» alla guida. Mario Draghi separa i suoi «destini personali» da quelli dell'esecutivo. Respinge l'idea di essere uno «scudo» allo spread o l'unico in grado di gestire il Pnrr. Dopo undici mesi a Palazzo Chigi, a poche settimane dall'elezione del nuovo presidente della Repubblica, traccia un bilancio della sua esperienza e apre alla possibilità che i partiti scelgano lui per la successione a Sergio Mattarella. Non è una candidatura, sottolinea a più riprese: la «responsabilità» della decisione è «nelle mani delle forze politiche». Se però la larga maggioranza si dividerà sul prossimo presidente della Repubblica, avverte, quel voto potrebbe travolgere anche il governo Draghi. Porre il destino del Paese nelle mani di singoli individui «sarebbe fare offesa all'Italia», si schernisce negando di nutrire «particolari aspirazioni» per il futuro: «Sono un uomo, se volete un nonno, al servizio delle istituzioni», dice ai giornalisti, nella tradizionale conferenza stampa di fine anno. Il presidente del Consiglio sa che le risposte più attese sono quelle che riguardano il suo destino politico e ci scherza su, assicura di non avere poi molto da dire. Ma nelle risposte tratteggia la sua visione e anche l'autoritratto da nonno finisce per evocare figure come quelle di Pertini o Mattarella. Di certo è l'attuale presidente della Repubblica «il modello» cui guardare, sottolinea Draghi, per come ha affrontato «momenti difficilissimi nel settennato con dolcezza e fermezza, lucidità e saggezza». È stato Mattarella, ricorda, a chiamarlo alla responsabilità di governo e a mostrargli «vicinanza» a ogni passaggio. È lui «l'esempio» da seguire anche per il prossimo capo dello Stato, perché mostra come si deve interpretare quel ruolo, da «garante», senza travalicare il «governo parlamentare» previsto in Costituzione. Con queste parole Draghi allontana il sospetto di voler instaurare, se eletto al Quirinale, un semipresidenzialismo di fatto. «È essenziale che la legislatura vada avanti fino al suo termine naturale», aggiunge tranquillizzando i parlamentari. Ed è «importante», afferma ponendosi nel solco di Mattarella, che «il governo sia sostenuto da una maggioranza la più ampia possibile, anche più di quella attuale». Ora come sempre, però, i destini del governo e del Colle sono «nelle mani del Parlamento». Un Parlamento assai frammentato, a partire dal nutrito gruppo M5s, e in cui, osservano dalla maggioranza, anche Draghi sulla carta ad ora non avrebbe i voti per essere eletto con i due terzi dei voti (Salvini e un irritato Berlusconi continuano ad auspicare che resti a Palazzo Chigi). Il voto per il Colle, alza le spalle il premier, «capita quando capita» e questa volta sarebbe auspicabile un'elezione «veloce», anche considerato l'imperversare della variante Omicron. Non regge, però, l'argomento di chi esclude che il governo vada avanti con un altro premier perché Draghi a Palazzo Chigi sarebbe garanzia di stabilità finanziaria: «I mercati guardano alla crescita prima di tutto», obietta. Non esclude di proseguire il suo mandato ma avverte sul rischio di "giochi" di parte sul Quirinale: «È immaginabile una maggioranza che si spacchi sulla elezione del presidente della Repubblica e si ricomponga sul governo?», domanda, evocando la caduta del proprio governo se verrà eletto un candidato come Berlusconi (ma a domanda sul leader di Fi l'ex presidente della Bce sceglie di non rispondere). Ai partiti della sua larga maggioranza il presidente del Consiglio riconosce a più riprese il lavoro fatto: «Capisco benissimo che non è facile», afferma. Annuncia il raggiungimento di tutti i 51 obiettivi previsti nel 2021 per il Pnrr, rivendica un dato di crescita superiore al 6%. E ribadisce che la «priorità» e la garanzia sul futuro è la campagna di vaccinazione: «il 13 febbraio», al passaggio del testimone da Giuseppe Conte, l'Italia «era l'ultimo tra i grandi Paesi europei», oggi vanta numeri migliori degli altri (80% della popolazione con la prima dose, 15,6 milioni di terze dosi). Missione compiuta? «Questo lo dice lei», risponde a un giornalista. Un mea culpa parziale arriva sulla manovra, approvata in extremis. Parlamento esautorato? «C'è stato molto affanno, ma è successo tantissime volte, i partiti sono stati coinvolti». Il premier non si sbilancia su temi come lo ius soli o il fine vita (si limita a richiamare la Consulta), mentre rassicura i referendari sul fatto che il governo non impugnerà i quesiti. Sulla riforma del Csm l'esame in Cdm slitta ma Draghi conferma l'impegno a rivedere il sistema di elezione e delle porte girevoli tra politica e magistratura: è una questione di «credibilità». (ANSA).