Due vittorie consecutive, nelle Marche e in Calabria, non bastano a sedare i contrasti interni al centrodestra. La coalizione guidata da Giorgia Meloni resta compatta solo di facciata: dietro l'accoppiata di successi elettorali, il gelo “storico” tra Lega e Forza Italia si fa di nuovo palpabile. E il casus belli, come è noto, stavolta ha assunto il volto di Ilaria Salis, e si è palesato dopo il voto europeo sull’immunità parlamentare che ha riacceso la rivalità tra Matteo Salvini e Antonio Tajani.

Il presidente dei senatori azzurri, Maurizio Gasparri, è stato il primo a sottolineare che «i parlamentari di Forza Italia erano tutti presenti e hanno votato perché fosse negata questa immunità», ricordando che nel gruppo dei Patrioti – dove siede la Lega – «c’erano quindici assenti, di cui uno italiano». In altre parole: gli alleati sovranisti hanno perso l’occasione di mostrare coerenza, lasciando spazio a un sospetto di doppiezza politica.

Da via Bellerio la replica è arrivata per bocca di Armando Siri, che in un lungo post su Facebook ha difeso la linea del Carroccio: «Nessuna gogna, nessun gusto sadico. Solo cercare di riportare tutto in un alveo di confronto aperto e leale», ha scritto il responsabile dei dipartimenti della Lega. Siri ha accusato la sinistra e la «galassia pentastellata» di doppi standard, ma ha finito per ribadire una concezione dell’immunità parlamentare lontana da quella liberale: «O l’immunità è immunità per tutti o è impunità per tutti». Un messaggio che suona come un avvertimento anche agli alleati di governo.

Dietro lo scontro su Salis, in realtà, c’è la partita più ampia del garantismo e della riforma della giustizia, che il governo si prepara a portare in Aula nelle prossime settimane. Tajani ha bisogno di difendere la bandiera liberale di Forza Italia, proprio mentre la Lega accentua la sua postura “manettara”, convinta che l’elettorato premi le posizioni più intransigenti. Una linea che, però, rischia di indebolire la credibilità complessiva del centrodestra in vista del referendum: difficile, infatti, chiedere ai cittadini di sostenere una riforma garantista se una parte della maggioranza si abbandona alla logica del sospetto e della colpa preventiva.

I nodi non si limitano alla giustizia. Durante il vertice di maggioranza di ieri pomeriggio a Palazzo Chigi, convocato per definire i contenuti della manovra, le tensioni sono riesplose anche sul fronte economico. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti aveva in precedenza ribadito che «ci sono spazi per una pace fiscale», definendola una misura che «non ha un costo ma una spalmatura nel tempo». Una posizione che Salvini considera prioritaria, ma che preoccupa tanto Palazzo Chigi quanto Forza Italia, più attenta agli equilibri di bilancio e all’immagine di responsabilità internazionale.

Ancora più divisivo il dossier sul prelievo straordinario sugli extraprofitti bancari, rilanciato dal Tesoro. Gli azzurri vi si oppongono con fermezza, temendo un messaggio negativo ai mercati e al mondo imprenditoriale. Meloni, invece, appare possibilista: un compromesso, spiegano fonti di governo, potrebbe arrivare in forma “una tantum” e con soglie più flessibili. Ma la sensazione è che il braccio di ferro stia appena iniziando.

Sul tavolo restano anche le regioni da assegnare, con il caso Campania simbolo della difficile mediazione interna: FdI ha già scelto Edmondo Cirielli, la Lega si è allineata, ma Forza Italia continua a temporeggiare. In controluce, si legge il tentativo di Tajani di capitalizzare il momento favorevole del partito, galvanizzato dai risultati elettorali e dal recupero del voto moderato.

Insomma, il centrodestra vince, ma non si compatta. Le crepe tra Lega e Forza Italia si allargano proprio mentre la premier chiede unità per affrontare le prove più delicate della legislatura. E se Giorgia Meloni punta a mantenere l’equilibrio tra l’anima sovranista e quella liberale della coalizione, i suoi alleati sembrano più interessati a misurarsi tra loro che con l’opposizione. Anche perché attualmente il Campo Largo appare una compagine fin troppo facile da sconfiggere