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Il segretario generale della Cgil Maurizio Landini durante la conferenza stampa sulla legge di Bilancio, Roma, Mercoledì 8 Ottobre 2025 (Foto Roberto Monaldo / LaPresse) General secretary of the Cgil union Maurizio Landin during the press conference on the budget lawi, Rome, Wednesday, October 8, 2025 (Photo by Roberto Monaldo / LaPresse)
Maurizio Landini prova a lanciarsi all'offensiva, dettagliando le ragioni della giornata di mobilitazione del prossimo 25 ottobre, con l'ambizione di intrecciare la marea di manifestazioni per la Palestina con il conflitto sociale che sarebbe materia di sua pertinenza. E' una sfida rischiosa, che rischia di tradursi nel proverbiale "un passo avanti e due indietro". La proposta forte che lancia il segretario della Cgil non è nuova: la patrimoniale. Ma sin qui se ne era sempre parlato o con una sorta di timore reverenziale, la materia essendo considerata tabù, oppure sbandierata a puri scopi di propaganda. Landini cerca invece di metterla davvero a tema, proposta concreta sulla quale sa che anche una parte della destra concorderebbe.
La proposta in concreto è quella di un prelievo dell'1,3% per i patrimoni sopra i 2 mlm, l'1% dei contribuenti secondo i calcoli della Cgil. L'introito sarebbe, sempre stando ai conti del sindacato, di 26 mld. Landini la illustra in conferenza stampa alla vigilia dell'incontro con il governo sulla manovra, fissato a palazzo Chigi per venerdì prossimo: «Proporremo il contributo di solidarietà. In Italia il 50% della ricchezza è in mano al 5% dei cittadini. Bisogna andare nella direzione di una redistribuzione della ricchezza».
L'altro cavallo di battaglia che la Cgil monterà nel confronto con Giorgia e Giorgetti: «L'inflazione 2022-24 cumula il 16,4%. I salari reali sono calati del 9%. La riduzione dell'Irpef al 33% non cambia niente per chi sta sotto i 28mila euro. La Flat Tax a 85mila euro fa sì che dove un professionista paga 7mila euro un lavoratore dipendente ne paga 19mila». Conclusione secca: «Continuare a tassare lavoratori dipendenti e pensionati non è giusto e frena la crescita del Paese».
Il salario è una voce anche più dolente. La produttività è aumentata nel settore privato e si è impennata nelle partecipate. Gli utili sono andati tutti agli azionisti senza ricadute positive di sorta sui salari più bassi d'Europa: "Sarebbe bastato aumentare il costo del lavoro di 4mila euro e 7mila nelle partecipate annui per mantenere il potere d'acquisto". Che invece è stato messo in ginocchio dall'inflazine.
Ultima voce nell'agenda incandescente del segretario del maggior sindacato italiano è la spesa per il riarmo: «Bisogna fermarla. Nel prossimo triennio è previsto un aumento di 23 mld. Di qui al 2035 salirà da 45 a 146 mld. Se spendiamo in 10 anni 900 mld, i soldi per sanità, scuola e trasporti dove li troviamo?». Ma l'indice puntato contro la spesa per il riarmo non è solo una richiesta dettata dall'esigenza di non massacrare il Welfare. Ha una valenza direttamente politica. Il riarmo non salassa solo le tasche. Mina anche la democrazia. Il governo dovrebbe rimangiasi le esose scelte non solo in nome di un Welfare a rischio di traccolo ma anche "della pace".
E' l'altra faccia del leader della Cgil, quella mostrata a ripetizione negli ultimi tempi, quella politica. Quella che lo spinge a sostenere la fantasiosa proposta di deferire di fronte alla Cpi Meloni, i ministri Tajani e Crosetto e l'ad di Leonardo Stefano Cingolani come «complici nel genocidio». Il governo, tuona Landini, «non ha riconosciuto lo Stato di Palestina, non ha chiesto di fermare l'assedio a Gaza, non ha interrotto i rapporti economici con Israele. Quindi si rende indirettamente complice di un governo che sta commettendo un genocidio».
E' l'accusa lanciata dall'associazione Giuristi e avvocati per la Palestina ed è una trovata che rischia fortemente di trasformarsi in boomerang, non solo perché le chances che si traduca in imputazione formale di fronte alla Cpi rasentano lo zero assoluto ma anche perché è palesemente trascinata per i capelli. E' l'ennesimo esempio di quel gusto per l'iperbole che, latente già da un pezzo, è esplosa nella politica e nella pubblicistica italiana con la guerra di Gaza.
Criticare un governo è una cosa: accusarlo di complicità per omissione in un genocidio è un'altra. L'abuso del termine stesso genocidio, diventato tanto obbligatorio che chi non lo usa per quanto severamente condanni Israele viene trattato da nazista, fa parte dello stesso repertorio per non parlare delle intemperanze di Francesca Albanese. Sentire la pasionaria filopalestinese accusare la ex deportata ad Auschwitz Liliana Segre di non avere competenza in materia di genocidi manda in deliquio l'ala più radicale e più vistosa del movimento per la Palestina, è dubbio che sortisca lo stesso effetto sulla maggioranza di una popolazione che pure condivide in pieno la solidarietà per la Palestina.
Allo stesso modo far propria un'accusa palesemente dissennata come quella di complicità del governo italiano nei massacri di Gaza avvalora il racconto di Giorgia per cui solo obiettivo delle manifestazioni sarebbe il suo governo. Con risultati controproducenti sia sul piano politico che su quello di una mobilitazione sociale che sarebbe invece quanto mai necessaria.