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CARLO NORDIO MINISTRO GIUSTIZIA
Ancora una volta la dialettica fra magistrati e governo è sospesa a un filo sottile. Alla tragica eccezionalità del caso Emanuele De Maria, il receptionist che, da detenuto in lavoro esterno, si è tolto la vita domenica con un volo dal Duomo di Milano, dopo essersi reso con molte probabilità responsabile della morte di Chamila Wijesuriyauna, la collega trovata uccisa nel Parco Nord del capoluogo lombardo.
Via Arenula, com’è noto, ha avviato accertamenti per valutare se sia il caso di sottoporre il Tribunale di sorveglianza milanese a una vera e propria ispezione. È una scelta delicata: deve fare i conti con un clima reso pesante, per esempio, dalla posizione del capogruppo di FI al Senato Maurizio Gasparri, il quale ha invocato già lunedì l’espulsione dalla magistratura per i giudici che avevano concesso il lavoro extramurario al 35enne.
Una linea che nella maggioranza non trova molti riscontri, certo. Ma intanto la verifica preliminare del dicastero della Giustizia è in corso. Il vice del ministro Carlo Nordio, Francesco Paolo Sisto, anche lui di Forza Italia, ha una posizione – piuttosto diversa da quella di Gasparri – che sembra riflettere le cautele dello stesso guardasigilli: «Sul caso De Maria, il ministro valuterà con attenzione atti e fatti prima di decidere se intervenire con un’ispezione. Il soggetto lavorava da due anni come receptionist in un albergo e non aveva mai dato nessun segnale di difficoltà, non aveva mai trasgredito, nello svolgimento dell’attività all’esterno del carcere». Pare l’implicita legittimazione delle scelte compiute dai giudici di sorveglianza. Il viceministro della Giustizia prefigura casomai una più generale riflessione sulla «possibilità di usufruire del lavoro all’esterno» in casi di «femminicida acclarato».
Eppure per Sisto «la vicenda non deve sminuire la necessità dei percorsi rieducativi: se tragedie come questa fossero il pretesto per chiudere i rubinetti della rieducazione, avremmo un rimedio peggiore del male».
Una linea chiara, che d’altra parte non può ipotecare le scelte di Nordio. Ed è qui che si gioca una dialettica in parte inedita. Intanto la prudenza di Sisto trova un corrispettivo nella nota congiunta dei presidenti del Tribunale di Sorveglianza e della Corte d’appello di Milano, Anna Maria Oddone e Giuseppe Ondei: i due magistrati confermano che il provvedimento di ammissione al lavoro esterno era stato emesso «in ragione di un percorso carcerario che si è mantenuto sempre positivo anche durante i due anni di lavoro presso l’albergo Berna, senza che nulla potesse lasciare presagire l’imprevedibile e drammatico esito».
Dopodiché una difesa ancora più generale dei benefici penitenziari concessi dai magistrati arriva da Ciccio Zacccaro, segretario della corrente progressista delle toghe “Area”: «Serve rispetto per le vittime» e serve ricordare che «i detenuti ammessi a misure alternative o al lavoro esterno tornano a delinquere in percentuale di gran lunga più bassa di chi sconta la pena tutta in carcere». Non serve invece, e anzi «fa male», avverte Zaccaro, «che chi ha responsabilità istituzionali colga l’occasione per l’ennesima delegittimazione della giurisdizione e per tornare alla propaganda carcerocentrica».
Poi, certo, la Procura di Milano ha acquisito il fascicolo dei colleghi della Sorveglianza, ma la scelta, finalizzata a verificare «possibili sottovalutazioni», porterà a valutare eventuali «episodi» emersi «sul luogo di lavoro», cioè all’Hotel Berna, e già si sa che, da novembre 2023, era filato tutto liscio. Stavolta insomma i garantisti sono in toga, e a dover misurare colpi che potrebbero scivolare in una logica “vendicativa” sono il governo e via Arenula in particolare.