Nell’intervista rilasciata a Collettiva, Pietro Grasso torna ad affrontare la riforma della giustizia con una preoccupazione che definisce «profonda e concreta». L’ex presidente del Senato ritiene che il dibattito pubblico stia sottovalutando la portata dell’intervento costituzionale, destinato a modificare il rapporto tra politica e magistratura in modo ben più incisivo delle rassicurazioni offerte dal governo. La questione, afferma, non riguarda il tecnicismo delle norme, ma l’asse portante della democrazia: «Quando l’equilibrio tra i poteri si incrina, la voragine si apre rapidamente».

Per spiegare il rischio che intravede, Grasso ricorre alla metafora teatrale della “pistola di Cechov”: quando un oggetto carico di significato appare in scena, prima o poi sparerà. Lo stesso – sostiene – accade con la separazione delle carriere e con la creazione di due Consigli superiori distinti per giudici e pubblici ministeri. Formalmente, l’articolo 107 della Costituzione rimane invariato nella sua previsione di indipendenza del pm, ma il nuovo assetto – osserva Grasso – consente a qualsiasi maggioranza futura di intervenire con una semplice legge ordinaria sull’ordinamento requirente, riducendone autonomia e garanzie.

A suo avviso, non si tratta di un processo alle intenzioni né di una lettura politicizzata, ma di una conseguenza logica: «Quando si divide un corpo unitario, lo si rende più esposto ai condizionamenti esterni. È la fine silenziosa dell’indipendenza». Per questo definisce il nuovo impianto una breccia che rischia di allargarsi fino a compromettere l’equilibrio dei poteri voluto dai costituenti.

Nel ragionamento di Grasso, la separazione dei poteri non è un dettaglio o un ostacolo formale all’azione politica, ma «il cuore stesso della nostra Repubblica». Qualsiasi riforma che tocchi quel centro richiede, secondo lui, un confronto trasparente, privo di slogan e capace di considerare tutte le ricadute. «Una modifica mal calibrata — avverte — può trasformare una piccola crepa in una voragine nella quale finisce la democrazia».