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Nella foto Falcone, Vassalli e Cassese
Oltre un anno fa un esponente dell’ANM mi disse: «Basta analisi raffinate d’ora in poi noi faremo propaganda». Parlavamo del referendum che si profilava all’orizzonte. Promessa mantenuta, a quanto pare. Cosa altro è, se non propaganda, quella di chi, non riuscendo ad evidenziare una sola parola della legge che alluda alla dipendenza del PM dall’esecutivo, insiste con i riferimenti al «senso politico complessivo», magari cavandolo dagli slogan o dalle gaffes di questo o quello. Che poi, sia detto col sorriso, sul terreno delle gaffes il palmares l’ha conquistato l’ANM, visto che ha scelto come front man del cartello del no Gratteri, che ancora oggi si dichiara a favore del sorteggio e che scivola su interviste inesistenti di Falcone.
Il che costringe l’ANM a imbarazzanti comunicati in cui si allude a suoi «fondamentali contributi tecnici», come se non controllare le fonti che si citano possa rientrare nel concetto, e potrebbe anche spingerla a rieditare quella vignetta di Altan che proclamava «certe volte ho delle idee che non condivido». La Costituzione del ‘48 avrà pure superato modelli ottocenteschi, come ci dice Giuseppe Santalucia, ma la distinzione dei poteri l’ha conservata ed a quello giudiziario non ha assegnato il compito del vaglio preventivo delle leggi ma quello della loro applicazione, ovvero della verifica di costituzionalità nei modi dovuti.
Sotto questo punto di vista la supremazia della politica attraverso il Parlamento, grazie a Dio, è rimasta, ed il suo “superamento” ci porterebbe ad una “democrazia giudiziaria” gradita a Travaglio, ma che uno non si aspetta da esponenti dell’ANM. Peraltro una incredibile distanza tra le “idee e l’azione” si coglie anche solo riflettendo sul fatto che, in decine di convegni post tangentopoli dedicati al tema dello squilibrio tra i poteri, anche i rappresentanti della magistratura erano arrivati ad ammettere che la Costituzione certo non prevedeva che un PM potesse ammonire pubblicamente a non scendere in campo i potenziali candidati ad una elezione politica nel caso avessero «scheletri negli armadi», ovvero affacciarsi alla TV o nelle cerimonie di inaugurazione dell’anno giudiziario, invitando i colleghi a “resistere” alle leggi, oppure ammonendo il Parlamento a non farle.
Riflessioni sull’ “invasione di campo del potere giudiziario” tutte cancellate dal furore referendario, anzi superate da beceri riferimenti alla P2 che certamente non appartengono ad un intellettuale come Santalucia, ma vengono ripetuti in continuazione dai singoli esponenti dell’ANM ed innalzati sugli scudi del comitato per il NO. Sintomi, quelli sì, di una deriva politichese e politicante del dibattito anche tra i giuristi, molto più delle riflessioni sulla “concezione proprietaria” della giustizia alla quale ci invitano da anni uomini del calibro di Giovanni Fiandaca o Sabino Cassese. Al riguardo, che il sindacato dei magistrati esprima da tempo l’idea che nessuna riforma nel campo della giustizia, in particolare sul titolo IV della Costituzione, sia possibile senza il suo preventivo consenso è un dato storico incontrovertibile. Stanno lì a testimoniarlo decine di prese di posizione in cui si è sostenuto che l’unica strada per superare le degenerazioni evidenti del correntismo fosse l’“autoriforma”. Auspicio del tutto virtuale, invero, visto che il manuale
Cencelli ha continuato ad essere applicato nella spartizione degli incarichi anche dopo Palamara, secondo le denunce dei togati del CSM che si riconoscono nel gruppo 101. L’ANM, dalla commissione Bozzi, a quella D’Alema, dalla legge Castelli a quella Cartabia, nella vita repubblicana si è sempre opposta a qualunque tentativo di riforma, gli atti parlamentari stanno lì a dimostrarlo.
Tra gli slogan si ripete quello del cittadino più debole e meno tutelato dopo la riforma, salvo poi non spiegare perché un giudice realmente terzo, cioè non facente parte dello stesso ordinamento del PM, che per questo non ha interessi retributivi, legami di carriera, o poteri disciplinari in comune con il medesimo, garantirebbe di meno chicchessia. E neppure si spiega perché l’attuale situazione, per la quale nei consigli giudiziari, o nel CSM unico, la carriera del giudice può dipendere dal PM, si risolva in una maggior garanzia per il cittadino. E non lo si spiega perché, in effetti, non c’è spiegazione, salvo quella sì tardo ottocentesca, e un tantino autoritaria, secondo la quale la comune appartenenza allo Stato del giudice e del PM rendono le loro funzioni ricomprese in quel concetto unitario di Autorità Giudiziaria che è di schietto stampo inquisitorio e che il processo penale in vigore dal 1989 ha ripudiato. E lasciamo perdere i distinguo tra cittadini che la riforma tratterebbe in maniera diversa: poveri cristi meno tutelati e potenti invece garantiti dalla separazione delle carriere, un mistero che si spiega solo come un appello al populismo della più bell’acqua. Separazione delle carriere che, peraltro, non si sa a quale titolo si inserirebbe nella crisi dei rapporti tra il potere giudiziario e gli altri poteri cui si assiste nelle democrazie liberali. Se ai riferimenti storici dobbiamo riportarci semmai va detto che l’unitarietà delle carriere, ed il concetto di Autorità Giudiziaria di cui sopra, furono presentati a suo tempo come un tratto proprio dello stato fascista, mentre la separazione delle carriere è in vigore in quasi tutto il mondo occidentale.
Del resto sospettare Vassalli, Conso, Falcone, Barbera, Cassese, Macaluso di tentazioni autoritarie sul tema appare surreale. Il che si sposa con una certa vena onirica che si ritrova anche nelle allusioni alle future leggi ordinarie che potrebbero rimettere in discussione il chiaro enunciato dell’art. 104 (che anche in versione Nordio ribadisce l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, sia giudicante che requirente) cosa che l’art. 138 della Costituzione impedisce. Se noi penalisti, “anime belle”, continuiamo a parlare ancora della terzietà è perché, pur essendo scritta nel 111 della Costituzione da venticinque anni, nei tribunali, tutti i giorni, ne avvertiamo la mancanza, e i nostri interlocutori lo sanno.
Per rimanere su Hegel non so davvero chi sia più fuori della realtà, che, tanto per stare sulla cronaca, è quella descritta dai numeri appena pubblicati da IL Dubbio sulle stratosferiche percentuali di accoglimento delle richieste del PM da parte dei GIP. Il resto è propaganda.


