«Le cose che non quadrano sono molte. In ballo non c’è solo il garantismo, ma anche la possibilità che qualcuno abbia giocato allo scaricabarile, creando capri espiatori. Sarebbe una beffa perfino per i giustizialisti». A parlare è Andrea Orlando, ex ministro della Giustizia e oggi deputato dem, che ha rotto il silenzio, ormai imbarazzante, sulle possibili violazioni commesse nell’inchiesta Qatargate. E lo ha fatto tramite un’interpellanza presentata a dicembre e indirizzata al ministro per gli Affari esteri e a quello della Giustizia, per chiedere informazioni sul «trattamento riservato ai cittadini italiani coinvolti nell'inchiesta» e se il governo «non intenda adottare ogni iniziativa, per quanto di competenza, sia in sede internazionale che europea, volta ad assicurare che il procedimento giudiziario si svolga nel pieno rispetto dei principi di cui all'articolo 6 del Trattato sull'Unione europea e dei diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione dei diritti dell'uomo».

I fatti sono quelli svelati in più occasioni dal Dubbio, a partire dall’impiego dei servizi segreti nella vicenda. Servizi che hanno di fatto spiato gli europarlamentari entrando in borghese nelle Commissioni parlamentari e violando la loro immunità. Continuando, inoltre, ad indagare anche una volta che il fascicolo è stato trasferito all’autorità giudiziaria. Ma non solo: gli elementi sui quali fare chiarezza, secondo Orlando, sono molteplici. Come la confessione «estorta», a dire dei suoi legali, all’ex europarlamentare Antonio Panzeri, che aveva ammesso in un primo momento un’evasione fiscale, poi diventata corruzione a seguito delle richieste pressanti di nomi eclatanti. Nomi che pure Panzeri ha fatto - in cambio di una pena lieve, il mantenimento del proprio patrimonio e della scarcerazione di moglie e figlia -, ma che non sono bastati: «Panzeri - riassume Orlando nella sua interpellanza - nomina gli eurodeputati Maria Arena e Marc Tarabella, ma gli inquirenti chiedono “altri nomi”, così aggiunge gli italiani Andrea Cozzolino, Lara Comi e la greca Eva Kaili, ma scagiona Arena». Si tratta solo di una delle tante stranezze dell’inchiesta. Che conta molteplici elementi che, in Italia, avrebbero reso il fascicolo carta straccia: Panzeri e Francesco Giorgi, suo ex assistente parlamentare e marito di Kaili, sono stati infatti in carcere insieme per tre giorni, come confermato dal Dubbio, giorni durante i quali i due stavano rilasciando dichiarazioni alle autorità. Ma non solo: come dichiarato dalla stessa nel corso di un’intervista a questo giornale, gli inquirenti avrebbero tentato di convincere Kaili a fare «qualsiasi nome in cambio della scarcerazione». Richieste alle quali non ha ceduto e che si sono tramutate poi in vere e proprie minacce, al punto da arrivare ad ipotizzare l’affido della figlia ai servizi sociali. L’ex vicepresidente del Parlamento europeo ha sollecitato i colleghi ad analizzare il suo caso, per verificare un’eventuale violazione dell’immunità. Ma la Commissione Juri non ha ancora risposto, forse nel tentativo di abbassare i toni, data la paura di molti di finire coinvolti nell’inchiesta. Ma a riaprire la questione ci ha pensato Orlando, che vuole vederci chiaro soprattutto sul comportamento del giudice istruttore Michel Claise, che nel maggio 2023 ha lasciato l’inchiesta dopo che furono svelati gli affari tra suo figlio e il figlio di Arena. «Sono diverse le perplessità sull'inchiesta: le attività svolte dai servizi belgi nell'Europarlamento senza che informazioni ufficiali siano pervenute alle istituzioni - ha sottolineato Orlando -; l'uso della carcerazione preventiva; il controverso patteggiamento di Panzeri», ma anche l’annullamento del mandato di arresto firmato dal giudice Claise per il ministro del lavoro del Qatar, Ali Bin Samikh Al Marri, per il suo collaboratore Bettahar Boudjellal e per l'ambasciatore del Marocco in Polonia, Abderrahim Atmoun, ovvero i corruttori. «Alcuni parlamentari europei chiedono che sia fatta luce e condannata la violazione dell'istituzione parlamentare Ue da parte di polizia e servizi belgi - ha aggiunto -. L'inchiesta ha di fatto impedito un adeguato vaglio da parte della magistratura italiana sul rispetto di garanzie procedurali e diritti fondamentali».

E dubbi sono stati avanzati «anche sull'attività di polizia giudiziaria nelle intercettazioni ambientali e telefoniche a carico di europarlamentari coperti da immunità, precedenti alla revoca della stessa. Giova ricordare, a tal proposito, che i parlamentari europei godono delle guarentigie del parlamentare dello Stato di appartenenza e che l'articolo 68 della Costituzione italiana prevede che siano preventivamente autorizzate dalla camera di appartenenza perquisizioni, intercettazioni e ovviamente l'arresto. L’azione di dossieraggio avrebbe riguardato, a quanto si apprende, anche il ministro degli Affari esteri italiano attualmente in carica», Antonio Tajani. A ciò si aggiunge che in Italia non sarebbe stato utilizzabile nessun atto di indagine svolto dai servizi segreti, la cui attività è separata nettamente da quella dell’autorità giudiziaria. «Quanto esposto sembrerebbe configurare un quadro istruttorio carente - ha concluso Orlando -, fatto di ombre che sembrano tradursi non solo nella violazione della prerogative della istituzione europea ma anche di principi costituzionali, principi sanciti dall'articolo 6 del trattato sull'Ue e diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione dei diritti dell'uomo».

«Ci sono diversi elementi che meritano un approfondimento - ha aggiunto Orlando al Dubbio -. In primis come ha funzionato il Parlamento europeo e poi come ha funzionato la magistratura belga. Se fosse andato tutto bene, non sarebbe stato necessario cambiare il titolare dell'inchiesta. Inoltre c’è anche l’esigenza di fare un “tagliando” al mandato di cattura internazionale, per valutare se ci sia lo spazio per un minimo di vaglio delle autorità italiane o se invece ci sia la necessità di riconquistarsi un qualche spazio di valutazione». La vicenda, secondo l’ex ministro della Giustizia, pone una serie di interrogativi sul funzionamento delle istituzioni europee, un «Parlamento senza uno Stato» che, da un lato, «non ha gli strumenti di prevenzione» presenti nei Paesi che lo compongono e dall’altro «ha un sistema di guarentigie che ha mostrato molti limiti», imputabili forse al regolamento, forse a questioni politiche. «È impossibile ignorare alcuni aspetti - ha aggiunto -. Da un lato ci sono Paesi stranieri che si introducono nell'iter normativo in modo abbastanza libero e non controllato, dall'altro una specie di groviera che consente ai servizi segreti di infilarsi addirittura dentro l'attività parlamentare. C'è, probabilmente, proprio un tema istituzionale che che merita una riflessione». Una volta verificate eventuali violazioni l’Italia potrebbe, ad esempio, proporre la creazione di un meccanismo di «segnalazione» delle anomalie alle autorità di controllo sulla magistratura dei Paesi interessati, «anche utilizzando le strutture di coordinamento che esistono già come Eurojust».

A esultare per l’iniziativa di Orlando, ora, sono gli avvocati di Cozzolino, Federico Conte, Dezio Ferraro e Dimitri De Beco: «Gran parte dell'attività istruttoria si è svolta senza garanzie per gli imputati. Su tutto questo è giusto e doveroso che le istituzioni italiane chiedano chiarezza».