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«Tutto ciò che sta emergendo non fa che confermare una cosa: quella sul Qatargate è un’indagine di matrice politica. Ed è del tipo peggiore che potrebbe esserci, perché nasce da un’azione dei servizi segreti, che potrebbe essere stata anche un’azione di depistaggio». A dirlo è Federico Conte, difensore, insieme a Dezio Ferraro, di Andrea Cozzolino, uno degli eurodeputati finiti nella presunta tangentopoli europea. Un’indagine che, come scoperto dal Dubbio, ha risvolti sempre più clamorosi, dato il possibile dossieraggio compiuto dai servizi segreti ai danni dei deputati. Al punto che le forze di polizia si sono infiltrate in borghese nei lavori delle Commissioni.
Avvocato, lei è stato il primo a denunciare il coinvolgimento dei servizi segreti nell’inchiesta. Ma è normale che a pilotare un’inchiesta giudiziaria siano gli 007?
È evidente che l’attività di intelligence non abbia molto a che fare con l’accertamento della verità, che invece è l’obiettivo di un’indagine penale. Che ci potessero essere delle finalità strumentali, soprattutto riguardo al livello internazionale delle questioni affrontate, era fin troppo evidente. Soprattutto, sin dall’inizio abbiamo posto il problema, che ora torna di grande attualità, delle prerogative parlamentari. Dinanzi alla Commissione giurisdizionale, abbiamo posto innanzitutto la questione della conoscibilità e poi quella della utilizzabilità delle attività investigative poste a carico di Andrea Cozzolino. La norma europea sull’immunità prevede che si applichino all’europarlamentare le prerogative dello Stato di appartenenza. In Italia, come sa, c’è bisogno di una richiesta di autorizzazione a procedere per sottoporre un parlamentare a perquisizione, sequestro, intercettazione e a maggior ragione arresto. Quando è stata chiesta la revoca dell’immunità di Cozzolino, però, una parte di queste attività, come stiamo apprendendo nel corso del procedimento dinanzi alla Corte d’Appello di Bruxelles, era già stata svolta, direttamente e indirettamente, dai servizi segreti, quindi senza che venissero rispettate le prerogative e le guarentigie delle autorizzazioni della procedura penale. Per Cozzolino doveva essere utilizzata la regola prevista dalla nostra Costituzione, quindi ogni attività svolta è assolutamente inutilizzabile. Ma questo è un tema che riguarda tutta la vicenda, che ha sullo sfondo un nodo tutto politico.
La reazione della politica non è stata adeguata?
C’è una critica di fondo da rivolgere al Parlamento europeo: le istituzioni comunitarie hanno rapidamente abdicato alla loro funzione e al loro obbligo di proteggere la funzione che esercitano davanti allo scandalo giudiziario. È stato un atto di grande debolezza.
Una debolezza che è costata l’arresto, in alcuni casi.
Il mio stesso assistito, grazie ad un’opera difensiva molto accorta, ha potuto spendere un periodo detentivo di quattro mesi ai domiciliari, altrimenti gli sarebbero toccate le patrie galere belghe, che non sono esattamente un luogo di cura e accoglienza. Adesso spero, ed è un invito che rivolgo alle istituzioni del Parlamento europeo, che le istituzioni svolgano la funzione critica e valutativa che impone loro la legge, se verranno interessati, come pare di capire, da nuove richieste di revoca dell’immunità parlamentare. Non commettano lo stesso errore che hanno fatto in passato. Io suggerì a Cozzolino di rinunciare all’immunità e lui, che è un uomo di grande coraggio e dignità, accolse il suggerimento. Ma l’immunità non è una prerogativa del parlamentare, è una prerogativa del Parlamento. Quindi anche di fronte alla sua rinuncia, quella Commissione avrebbe potuto dire di no all’autorità giudiziaria, anziché votare all’unanimità la revoca, senza alcun sindacato di ciò che stava avvenendo. Agli atti di quella audizione c’è una memoria nella quale ciò che ora ci stiamo dicendo veniva denunciato in maniera chiara e anche molto puntuale, fatti adesso divenuti clamorosi perché dalle carte è venuto fuori addirittura che gli 007 sono entrati nel Parlamento, cioè nella casa dei cittadini europei, a violare un luogo in cui si esercita la democrazia.
Secondo lei si è trattato di un dossieraggio?
Mi sembra una definizione molto calzante. Mi fa piacere vedere che Giuliano Pisapia abbia sostenuto gli stessi concetti che la difesa di Cozzolino all’epoca illustrò in una certa solitudine. Allora sembravano cortine difensive, ma sta venendo fuori che si è verificato un fatto di una gravità assoluta, che deve essere di monito alle istituzioni europee per blindare e garantire i luoghi e i processi della democrazia.
Perché il Parlamento ha avuto così tanta paura di esporsi e tutelare la propria funzione?
Perché si è pensato, come abbiamo fatto noi italiani ai tempi di Tangentopoli, che si potesse risolvere tutto facendo pagare a pochi lo scotto delle indagini. Ma era prevedibile che, una volta apertasi una breccia e stabilito un principio di prevalenza dell’attività giudiziaria su quella politica, ci sarebbe stato un precedente, che è un vulnus del corretto equilibrio dei poteri. Nessuno può escludere che, prima o poi, possa essere coinvolto qualcuno dei rappresentanti del potere esecutivo. Cosa succederebbe, in quel caso? Senza limitare l’attività di indagine, che è fondamentale, bisogna stabilire il confine oltre il quale non si può andare, per tenere in piedi una dialettica che abbia nel rispetto delle istituzioni il suo punto di equilibrio. E questo si fa svolgendo la funzione giurisdizionale propria. Tanto più ampio è lo spazio di discrezionalità che si lascia a favore di questa attività giudiziaria, tanto maggiori devono essere le cautele nel farlo. Mi auguro che il Parlamento si dia una regola rigida di garantismo per i suoi membri.
Come può farlo?
Immagino ci debbano essere elementi nuovi per il possibile coinvolgimento di nuovi parlamentari, dal momento che si parla di nuove richieste di revoca dell’immunità, ma non è dato sapere quali siano. Allora, con tutto il rispetto del codice belga, che è fondato sul segreto, la vicenda è diventata così clamorosa che spero la Commissione giurisdizionale non si accontenti, come fece allora, di due scarne paginette per valutare la richiesta. Perché noi abbiamo svolto la nostra audizione su due pagine: tanto era lungo il sommario-interrogatorio di Panzeri. Spero che la Commissione chieda la produzione di tutti gli atti necessari per prendere una decisione tanto importante.
Ma le accuse reggono? Le borse piene di soldi colpiscono molto, ma il Parlamento europeo non ha poteri esecutivi, quindi non può scambiare atti per denaro. Si può parlare di corruzione o è più un’attività di lobbying?
Non posso parlare della vicenda nel complesso, ma per quanto riguarda Cozzolino, come abbiamo detto sin dall’inizio, non ci sono soldi, né pagamenti con altri mezzi, come bonifici, assegni o altro, c’è solo una chiamata in reità di Panzeri, fatta solo dopo il suo patto di pentimento. Quindi, solo per questo, dal punto di vista processuale bisognerebbe guardare a queste accuse con grande sospetto.
E allora come è stato possibile chiederne l’arresto?
Beh, i fatti ci stanno dimostrando che questa indagine non ha avuto la scrupolosità e la tenuta stagna che giustificava tanto rigore.
Lei ha parlato di un regime che si basa molto sul segreto, ma sulla stampa abbiamo letto di tutto.
La segretezza valeva per gli avvocati, non per i giornali.
Questa inchiesta è stata caratterizzata da numerosi colpi di scena, arrivando perfino alle dimissioni del giudice istruttore. Questo cosa vuol dire?
Dà soltanto il senso di una confusione e di una scarsa linearità che non fa che aumentare la preoccupazione che si tratti di un’indagine di matrice politica. Ed è del tipo peggiore che potrebbe esserci, perché nasce da un’azione dei servizi segreti, che potrebbe essere stata anche al fondo, ed io questo lo penso, un’azione di depistaggio, inseritasi nei complessi rapporti dei Paesi africani.
Alla luce di tutti questi elementi nuovi, qualcuno ha fatto un passo indietro con Cozzolino, dopo averlo scaricato?
Non lo so. Spero che il Pd abbia la capacità di recuperare, nel prosieguo di questa indagine, una cultura garantista di cui abbiamo bisogno, nel Paese e adesso in Europa, e che non può essere appannaggio solo di alcuni. È una questione di civiltà giuridica, alla quale un partito che si dice democratico non può rinunciare. La paura dell’indagine ha fatto assumere una posizione prima umanamente e poi culturalmente incomprensibile. Spero vivamente che questi sviluppi inducano la leadership del Pd, in particolare la nuova segretaria, ad una presa di posizione sul principio del garantismo, che non significa né negare il diritto delle indagini, né dare per scontata l’innocenza di una persona, ma semplicemente assicurarsi che i fatti vengano accertati nel rispetto delle regole.