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Lucano
Domenico Lucano torna a difendersi in Tribunale, questa volta contro la decisione che lo ha dichiarato decaduto dalla carica di sindaco di Riace. Gli avvocati Andrea Daqua e Giuliano Saitta hanno infatti presentato ricorso, sostenendo che la sentenza del Tribunale di Locri è non solo sbagliata, ma anche profondamente contraddittoria. Stando alla sentenza del giudice civile, «la condotta criminosa che ha portato alla condanna definitiva del Lucano, ad avviso del Collegio, comportava ictu oculi l’abuso dei poteri certificatori connessi alla sua posizione di pubblico ufficiale, e il mero riferimento all’articolo 479 c.p. è sufficiente ad apportarne adeguata contestazione, poiché il reato ivi descritto concerne la condotta del pubblico ufficiale». E Lucano, appunto, è stato condannato per avere in qualità di sindaco, «attestato falsamente di aver effettuato i controlli sui rendiconti propedeutici all’erogazione dei finanziamenti relativi al rimborso dei costi di gestione dei progetti Cas (essendo stato assolto in relazione ai fatti contestati per gli altri) asseverandoli, dunque, pur in assenza dei presupposti». Rimborsi, per la cronaca, mai ricevuti, a fronte di spese effettivamente fatte per l’accoglienza. Una sentenza sbagliata, affermano i due legali. E l’errore consisterebbe nell’affermare che la condanna per falso ideologico comporti la decadenza dalla carica di primo cittadino ai sensi dell’articolo 10, primo comma, della legge Severino. La legge è chiara: ci sono due strade diverse. In alcuni casi – quelli più gravi indicati espressamente dalla legge – la decadenza è automatica. Ma in altri, come il reato per il quale Lucano è stato condannato a 18 mesi - ovvero il falso ideologico -, serve qualcosa di più: occorre che il reato sia stato commesso con abuso di poteri o violazione dei doveri d’ufficio. E questa valutazione non spetta al giudice civile: deve emergere nero su bianco dalla sentenza penale.
Ed è qui, secondo i legali di Lucano, che il Tribunale di Locri avrebbe completamente sbagliato strada. Da un lato, infatti, i giudici hanno ammesso che per applicare la decadenza nei casi come quello di Lucano serve un accertamento concreto del cosiddetto “abuso di potere”. Dall’altro, però, hanno ritenuto che il reato di falso ideologico comporti automaticamente proprio quell’abuso, applicando così la decadenza senza bisogno di ulteriori verifiche.
«La realizzazione dell’abuso o della violazione dei doveri devono risultare dalla sentenza penale e non possono essere accertati autonomamente dal giudice civile investito della questione sulla decadenza», affermano dunque i due legali. Altrimenti la legge sarebbe svuotata di senso: se davvero bastasse la semplice condanna per falso ideologico, infatti, il legislatore l’avrebbe inserita tra i reati che fanno scattare la decadenza automatica. E invece non è così.
C’è di più. La stessa sentenza penale che ha condannato Lucano non ha mai parlato di abuso di potere. Non solo: non gli sono state nemmeno contestate aggravanti legate all’abuso dei poteri, né è stata applicata l’interdizione dai pubblici uffici, misura che scatta proprio in presenza di questo tipo di comportamenti.
Anzi, la Corte d’appello – sottolinea il ricorso – ha espressamente escluso queste misure, e la Cassazione ha confermato. «La sentenza di primo grado è, pertanto, erronea perché il Tribunale ha dichiarato la decadenza del Lucano per il solo fatto di avere commesso il reato ex art. 479 c.p». La notifica dell’appello ha comportato la sospensione dell’efficacia della sentenza di primo grado che ha dichiarato la decadenza del Lucano dalla carica di Sindaco di Riace e, dunque, il ripristino delle funzioni di sindaco per tutta la durata del giudizio di secondo grado. Nel ricorso si chiede dunque la revoca della decadenza, il rigetto del ricorso presentato dalla Prefettura e la condanna della stessa Prefettura a pagare le spese processuali.