«La Chiesa è un’agenzia etica e ha il pieno diritto di esprimere il proprio punto di vista su questi argomenti. Ma deve farlo in maniera logica, avendo rispetto delle leggi di un Paese». A parlare è Mario Riccio, il medico che nel 2006 accettò di interrompere la terapia sanitaria alla quale era sottoposto Piergiorgio Welby, procedendo al distacco della ventilazione, e oggi consigliere dell’associazione Luca Coscioni.

Dottore, cosa ne pensa delle parole del Vaticano?

Credo che si stia tornando sul principio del “sicario”, come fummo apostrofati noi medici per quanto riguarda l’aborto. E questo mi offende: è un’affermazione ai limiti della querela. Qui si fa confusione tra peccato e reato. L’eutanasia o il suicidio assistito sono un peccato per l’agenzia etica che il Papa rappresenta. Viene tirata in ballo la legge naturale, ma si tratta di un concetto giuridico molto discusso: non si sa se esiste o meno. E così si fa commistione tra teologia e giurisprudenza. Esistono molte morali, ma la legge naturale non esiste.

In un passaggio viene sottolineato che chi compie un atto eutanasico o il suicidio assistito non è soggetto morale…

È grave, perché soggetto morale è chiunque possa esprimere una propria visione della vita. È una grave offesa anche all’intelligenza. La Chiesa, in questo caso, è solo un soggetto che ha una morale diversa. E poi si parla di atto illecito, ma non è così, come dimostra il fatto che in diversi Stati tale pratica è legge. È solo un atto che, dal punto di vista del Papa, è immorale. Con queste affermazioni, in pratica, si sta affermando che tutti i giudici della Consulta, che hanno definito lecito il suicidio assistito entro certi parametri, non sono soggetti morali.

Crede che il messaggio sia rivolto al legislatore?

È chiaro: il Vaticano ha già fatto questo gioco con la storia dell’aborto, chiamandoci sicari, appunto, e sostenendo che la donna che decide di ricorrervi non osserva un proprio diritto ma chiede ad un altro di uccidere suo figlio. È un atteggiamento poco rispettoso: io sono un medico che applica una legge e ho il diritto di non essere offeso. Ma qui si va oltre: mi si priva addirittura della coscienza perché applico una legge dello Stato. Non è accettabile questo piano di discussione. Il Papa può continuare ad affermare la propria contrarietà, è un punto di vista rispettabilissimo, ma non può dire che si tratta di un atto illecito. Non è suo compito.

Ma la Chiesa ha sempre giocato saltando da un campo all’altro.

La lettera, secondo lei, può influire sull’approvazione di una legge che da tempo è inspiegabilmente ferma?

È evidente: in Italia è riconosciuta un’unica autorità morale, il Papa, che piace tantissimo a tutti. Si dice sia leader del centrosinistra italiano e a me questo fa sorridere, perché vuol dire che la sinistra è davvero ridotta male se deve trovare la propria leadership in un Papa. Il dibattito è molto interessante, ma va chiarito che è un suo punto di vista. Non si può confondere peccato e reato.

Però arriva anche il no all’accanimento terapeutico. È una buona notizia?

Non esiste un concetto di accanimento terapeutico, perché è soggettivo, e infatti non esiste altrove, lo si usa solo in Italia. Per alcuni rimanere attaccati ad un ventilatore è accanimento, per altri no. Penso a Welby: per lui era diventato insopportabile. Io sono stato suo medico e ricordo che la Chiesa gli chiuse le porte in faccia, negandogli i funerali, proprio perché assimilò la rinuncia alla terapia all’eutanasia. Quindi mi sembra un’ipocrisia. Quello che emerge, dunque, è il relativismo etico, che riguarda anche la Chiesa: come si comprende, certi concetti si modificano nel tempo e ora riconosce che la rinuncia a terapie a trattamenti ad oltranza, in certe condizioni, è lecita.

Quindi pensa che in futuro possa rivalutare le proprie posizioni?

Guardi, i valdesi, che sono cristiani ma non cattolici, con molti limiti hanno aperto al suicidio assistito e dell'eutanasia. Quando parliamo di Vaticano parliamo di Chiesa cattolica, ma va detto che il mondo cristiano ha già manifestato la sua disponibilità alla morte medicalmente assistito. I protestanti del nord Europa, ad esempio, hanno già accettato, con molti limiti e condizioni, questa possibilità.

Secondo lei perché questo monito arriva proprio ora?

Teoricamente Stato e Chiesa non si influenzano, ma praticamente sì. Questa lettera arriva due settimane dopo l’annuncio del capogruppo il deputato del M5s Giorgio Trizzino, medico palliativista, che ha confermato la calendarizzazione del ddl entro ottobre, dopo una sintesi di due anni di audizioni.

Ma sarà una coincidenza. La lettera rappresenta una sorta di anatema per chi promuove queste leggi, le osserva o partecipa in maniera attiva. Beh, è evidente che è una fatwa.

Nella lettera viene ribadita la necessità di prevedere l’obiezione di coscienza, esortando il medico a farla valere.

Sono favorevolissimo all’obiezione di coscienza, perché capisco che c’è un problema morale estremamente delicato. In tutte le legislazioni che hanno riconosciuto la morte clinicamente assistita tale diritto è stato riconosciuto. E per me ciò vale anche per l’aborto. Ma per favore, non mi si chiami più sicario.

Il Parlamento ha disatteso due volte le sollecitazioni della Consulta. Crede che si perderà ancora tempo?

Anche la sentenza per la morte di Davide Trentini ha ribadito quanto detto dalla Consulta in due occasioni. Le indagini demoscopiche dimostrano che oltre il 90% delle persone è favorevole al suicidio assistito. Se il Parlamento dovesse continuare a temporeggiare allora sarebbe l’ennesima prova di una politica scollata dalla volontà popolare e che chi sta in Parlamento vive in un mondo diverso rispetto a chi lo ha votato. Il politico non è chiamato ad esprimere il proprio parere, nel campo dei diritti civili è chiamato a riconoscere le richieste che vengono dalla cittadinanza. Poi sta al popolo scegliere se usufruire o meno di uno strumento previsto dalla legge. Non c’è l'obbligo al divorzio o all’aborto. E scegliere di morire non è bello, ma per alcuni diventa una necessità.