«Avvocatura e magistratura sono entrambe protagoniste della giurisdizione». A ribadire il concetto, a Palazzo Venezia, è stato il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, Fabio Pinelli, che ha sottolineato l’importanza del contributo degli avvocati nel percorso di riforme avviato da via Arenula. Un ruolo che trova conferma anche nella partecipazione alle deliberazioni dei Consigli giudiziari, anche relativamente alle valutazioni di professionalità. «Questa importante novità ordinamentale richiederà non solo lo sviluppo di opportune sinergie - ha evidenziato Pinelli -, ma una profonda riflessione sulle gravose responsabilità incombenti anche sull’avvocatura».

Il fulcro di tutto dev’essere la «responsabilità sociale del magistrato», che si declina nella sua autentica indipendenza, nell’impermeabilità alle influenze esterne. Non solo per quanto riguarda le «ipotesi di patologica “prossimità” di qualche magistrato ad una delle parti della contesa», ma anche rispetto «alle pressioni esterne», come l’iperproduzione normativa, la «seduzione valoriale dell’interpretazione soggettiva, quando non ideologicamente orientata, dietro il velo del “costituzionalmente conforme”», la moltiplicazione esponenziale delle istanze di giustizia in una società sempre più conflittuale e, soprattutto, «i guasti della giustizia mediatica, dove si smarrisce il senso autentico del processo come ricerca condivisa della verità per la suprema garanzia dei diritti, dell’onorabilità, della libertà e dove talora persino la vittima – sia detto con il massimo rispetto – è fatalmente portata dalla logica mediatica ad assumere un “ruolo” improprio al pari del giudice sottoposto alle pressioni e del pubblico ministero preteso vindice».

L’effettiva indipendenza non è solo una questione personale, ma anche un fatto culturale e di corredo professionale. «Ebbene - ha sottolineato Pinelli -. l’avvocatura è certamente protagonista di questa sfida, poiché la garanzia dell’effettiva indipendenza del magistrato la riguarda assai da vicino». È, infatti, un impegno culturale comune, una sfida alla quale l’avvocatura può contribuire attraverso il contraddittorio, che non è solo «un astratto valore costituzionale», ma si riempie di contenuti «se è alimentato dalla presenza nel processo di avvocati competenti».

Servono «magistrati preparati, indipendenti e irreprensibili, ma anche avvocati professionalmente e deontologicamente all’altezza del loro delicato compito». E essere all’altezza vuol dire anche essere specializzati. La magistratura, ha dunque aggiunto Pinelli, «non può chiudersi in una visione autoreferenziale dell’autonomia e indipendenza, che sono principi funzionali al servizio e alle esigenze della collettività, non privilegi della corporazione». E l’avvocatura, allo stesso modo, «deve avere la capacità di distinguere le garanzie fondamentali, diretto precipitato dei principi costituzionali ( primo tra tutti quello della presunzione d’innocenza), da una visione di non contrasto ad intralci formalistici al corso del processo verso la decisione. Questi ultimi possono assumere il sapore di un garantismo “iperbolico”, per dirla con Cordero, e divenire una concausa dei ritardi della risposta di giustizia in controtendenza rispetto all’obiettivo di efficienza del sistema». I valori della terzietà e del contraddittorio, ha concluso, «sono anche i valori dell’avvocatura, ma essi non possono non essere messi a sintesi se non con il contributo responsabile dell’avvocatura, ferma nella difesa delle garanzie essenziali all’inveramento di quei principi fondamentali, dialogante sugli istituti suscettibili di impattare negativamente sull’efficienza del sistema».