Se l’avvocato è «consustanziale alla cultura della giurisdizione», parola di Carlo Nordio, come possono essere sopportate le limitazioni alla funzione difensiva che pure affiorano di continuo, come una pulsione irrefrenabile del sistema? È l’interrogativo che, di fatto, il presidente del Consiglio nazionale forense Francesco Greco rivolge, a tutti, con la propria relazione alla cerimonia inaugurale dell’anno giudiziario forense.

E il punto è che quelle pulsioni, indiscutibilmente, si moltiplicano. Fanno tendenza. E spingono la giustizia da «funzione tra le più importanti che uno Stato democratico deve assicurare» a «servizio», come lamenta ancora Greco. È l’idea della difesa come intralcio, e fa breccia, inesorabilmente, nella magistratura: lo ricorda non un giudice qualunque ma la prima presidente della Cassazione Margherita Cassano, in un intervento applauditissimo dalla platea di avvocati in toga, dai componenti del Cnf ai rappresentanti dell’Ocf, dei Coa e di tutte le istituzioni e associazioni forensi.

Con loro, ad ascoltare la relazione di Greco, gli interventi di Cassano, del vicepresidente del Csm Fabio Pinelli, e di Nordio, ci sono anche altri vertici della magistratura ed esponenti politici, a cominciare dal sottosegretario Andrea Delmastro. Ebbene, se l’efficienza della giustizia sembra spingere l’avvocato sempre più ai margini, sempre più fuori dagli stessi tribunali, cosa si può opporre a una deriva simile?

In una mattinata come quella di oggi, per la quale il Cnf ha scelto la splendida Sala Regia di Palazzo Venezia, e in cui il cahier de doleances della giustizia disumanizzata dall’efficientismo sembra un tunnel senza uscita, il guardasigilli Nordio indica una “luce” inattesa: «Vorrei auspicare che se un domani dovessimo arrivare a una riforma costituzionale, nell’ambito della Costituzione fosse inserito il ruolo fondamentale che hanno gli avvocati».

Non ridurre la difesa a intralcio


Detto da un ministro impegnato a difendere la riforma delle riforme della giustizia, la separazione delle carriere, dall’urgenza del premierato caro a Giorgia Meloni, è un’apertura tutt’altro che scontata. Ed è una novità, nello stesso mandato di Nordio a via Arenula: finora il ministro aveva sì ripetuto, e lo ha fatto anche ieri, che «un giudice non è un buon giudice se non è assistito dall’avvocato», ma mai si era spinto a riaprire il dossier “avvocato in Costituzione”. Farlo in una giornata così importante, per la professione forense, non è un semplice gesto di cortesia, ma un impegno. Del quale andrà verificata la praticabilità, certo. Ma che l’avvocatura, Cnf in testa, ha l’opportunità di sollecitare di nuovo, dopo aver dovuto prendere atto che l’agenda dell’Esecutiìvo, in fatto di riforme della Carta, sembra prevedere altro.


Il cuore della proposta che il Cnf aveva avanzato a partire dalla presidenza di Andrea Mascherin e aveva reclamato anche con la guida di Maria Masi sancisce “la libertà e l’indipendenza” come condizione irrinunciabile per l’avvocato. Sarebbe un’indicazione chiara per il legislatore e per i magistrati. Invertirebbe la tendenza a derubricare, appunto, la funzione difensiva a mero adempimento formale. E non sono solo la relazione di Greco e i richiami coraggiosi di Cassano, a segnalare che lo sguardo della magistratura, e delle istituzioni in generale, verso il diritto di difesa, è quasi infastidito. Implicitamente lo segnala anche il passaggio del discorso di Pinelli (di cui si dà conto con ampiezza in altro servizio, nda) in cui il vicepresidente del Csm sostiene che «l’avvocatura, nella responsabilità istituzionale che giustamente rivendica, deve avere la capacità di distinguere le garanzie fondamentali da intralci formalistici al corso del processo». Altrimenti il difensore scivolerebbe, addirittura, in un «garantismo iperbolico».

Gli impegni di Nordio


È la formulazione teoretica di un pregiudizio non nuovo. Ma Nordio presenta uno scenario diverso: parte dalla nota perniciosità della «lentezza della giustizia», richiamata impietosamente da Greco, per riconoscere che, come reclama il presidente del Cnf, non si può ridurre a «servizio» la giustizia, che è la «forma più nobile o una delle più nobili per l’esercizio dello spirito umano».

Ma per il ministro, perché una così alta missione possa compiersi, e non sia «impotente, sterile», la si deve assistere con un «servizio» che funzioni davvero. Ed ecco il riferimento ai «tre concorsi» in programma, con l’ennesima smentita del «reclutamento straordinario» riservato ad avvocati e accademici. Solo così, sostiene Nordio, si possono rimettere in equilibrio «i target che ci proponiamo nel cosiddetto servizio giustizia» e «il budget che abbiamo a disposizione». Nessuno, ricorda il guardasigilli, «ha mai chiesto in Italia quanti fossero i magistrati necessari per arrivare a un tempo ragionevole per le sentenze, e quanti fossero gli amministrativi che dovevano assisterli».


A proposito di ruolo degli avvocati, il guardasigilli rivendica, giustamente, quella che definisce la «novità più rivoluzionaria», il fatto che «per la prima volta abbiamo inserito un rappresentante dell’avvocatura nel nostro ufficio legislativo: per anni si è detto che il ministero era una sorta di fortezza della casta dei magistrati». Nordio tende a un sereno ottimismo anche rispetto alla capacità dei giudici di servirsi dell’intelligenza artificiale.

Ma non manca di associarsi agli auspici di Cassano, della «collega Cassano», giacché, è la premessa, «semel magistrato semper magistrato», una volta che si è stati giudici (o pm, come nel suo caso), lo si è per sempre, anche se si entra in politica. E come la prima presidente della Suprema corte, anche il ministro è convinto che «l’umiltà sia la ricetta fondamentale», per le toghe, «come il buonsenso. Ma l’umiltà non si studia», ricorda Nordio, «si apprende attraverso la cultura, attraverso quella che si chiama la dotta ignoranza, la consapevolezza di non sapere». Riecco l’altro valore evocato dal vertice della Cassazione, il dubbio, che agli avvocati tocca insinuare nei giudici. È qui la «dignità» della «missione» svolta dagli avvocati, è l’inconfutabile promemoria di Nordio.

E da qui quell’auspicio sull’inserimento della professione forense nella Carta costituzionale. È una giustizia in bilico tra l’annichilimento della funzione difensiva e la sua consacrazione. E per un umanista appassionato di musica classica e di filosofia come Nordio, non può che essere un enigma appassionante.