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Nuovo avviso di conclusione delle indagini per Rosanna Natoli, la consigliera laica del Csm in quota Fratelli d’Italia che sabato ha rassegnato le dimissioni – come anticipato in esclusiva dal Dubbio – con una lettera indirizzata al Presidente della Repubblica e ai presidenti delle Camere. Il nuovo 415- bis elimina il reato più grave inizialmente contestato all’avvocata di Paternò, il tentativo di induzione indebita 319 quater -, e lascia in piedi la sola accusa di rivelazione di segreto, seppur con una diversa configurazione rispetto sia al primo avviso di conclusioni indagini sia all’avviso di garanzia formulato dalla Procura di Roma e sulla base del quale la consigliera è stata sospesa. Un risultato, questo, derivato dalla memoria depositata dalla stessa Natoli, che ha portato la procura a rimodulare l’impianto accusatorio.
A Natoli viene contestata la violazione del segreto delle deliberazioni in camera di consiglio e del segreto istruttorio, per aver rivelato – durante un incontro privato con la giudice Maria Fascetto Sivillo (poi deceduta) – informazioni coperte da riservatezza in merito alle deliberazioni della Sezione disciplinare del Csm. Secondo l'accusa, avrebbe riferito che, durante l’udienza disciplinare del 25 luglio 2023, Fascetto Sivillo avrebbe reso dichiarazioni ritenute offensive nei confronti di altri magistrati, a causa delle quali la Sezione avrebbe deciso di applicare la sanzione più grave – la perdita di un anno di anzianità – invece della censura, proposta dalla stessa Natoli.
Nella sua memoria Natoli racconta di aver ricevuto più volte pressioni da amici comuni per incontrare Fascetto Sivillo, descritta come «gravemente malata» e convinta vittima di complotti. Dopo aver tentato di evitarla più volte - anche al Csm -, avrebbe dunque accettato l’incontro solo per «motivi umanitari», a patto che avvenisse alla presenza di altri. Alla data dell’incontro, inoltre, non c’era alcun procedimento disciplinare pendente né decisioni da prendere, poiché la sentenza era stata già deliberata. L’unico intento era quello di «parlarle “con il cuore in mano” per convincerla che i suoi guai non erano dovuti a complotti correntizi, bensì essenzialmente frutto dei suoi censurabili comportamenti».
In quell’occasione, dunque, non avrebbe rivelato contenuti reali della camera di consiglio. Le frasi incriminate sarebbero state pronunciate «solo per tentare di calmare la dottoressa Fascetto, per rabbonirla e per creare una apparente vicinanza e complicità», ma «mai ho raccontato ciò che realmente è accaduto» . Si trattava, pertanto, di una mossa strategica: la camera di consiglio si era svolta immediatamente dopo le «gravi e deliranti propalazioni della dottoressa Fascetto Sivillo» contro alcuni magistrati del suo ufficio, il che rende impossibile che fosse già stata presa una decisione prima dell’udienza.
Per questo motivo, ciò che lei stessa ha riferito in privato alla Fascetto, compresa la presunta «iniziale determinazione di applicare la censura», non può corrispondere alla realtà. Lo stesso vale per le frasi che le vengono contestate nel capo d’imputazione, in cui si parla del suo presunto ruolo nell’ «avere convinto i componenti della predetta sezione ad irrogare (…) la sanzione disciplinare della censura in luogo di altre più gravi»: affermazioni che, ribadisce, «non possono corrispondere, per le stesse ragioni, a quanto realmente accaduto».
Se davvero i membri della Sezione avessero preso una decisione prima di quel momento – come suggerirebbero le sue parole, se prese alla lettera – allora tutti avrebbero violato «i loro doveri e tale norma». Ma, conclude, «ciò ovviamente non è avvenuto». Insomma, le espressioni usate sarebbero state un tentativo – «ingenuo, inutile e senza speranza» – di convincere Fascetto a smettere di diffondere accuse infondate, nell’interesse dell’istituzione. Tanto che, a fine incontro, avrebbe anche chiarito ad uno dei partecipanti, in privato, che si era trattato di «storie inventate». Alla luce di questa memoria, dunque, la procura ha deciso di svolgere ulteriori accertamenti, ascoltando alcuni componenti della Sezione disciplinare, tra cui il vicepresidente Fabio Pinelli.
Sulla base di queste audizioni, le pm Agata Santonocito e Barbara Tiziana Laudani hanno ritenuto di non contestare più il reato più grave, quello che avrebbe anche consentito anche l’utilizzo di strumenti invasivi come le intercettazioni. «Siamo soddisfatti che la procura abbia svolto accertamenti basati anche su quanto da noi segnalato. Stiamo lavorando fianco a fianco. Forse è stata un po’ affrettata la decisione del Csm, viste le continue modifiche del capo d’accusa. Evidentemente i fatti non sono poi così chiari», hanno dichiarato gli avvocati Vittorio Lo Presti e Pietro Granata. Proprio come aveva sostenuto in plenum l’indipendente Andrea Mirenda, unico togato a votare contro la sospensione e a definire la vicenda un enorme abbaglio.