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MATTEO SALVINI POLITICO
Sono 270 le pagine con cui la II sezione penale del Tribunale di Palermo ha motivato la decisione di assolvere il 20 dicembre scorso Matteo Salvini dall’accusa di sequestro di persona e rifiuto di atti di ufficio per avere impedito, sei anni fa da ex ministro dell’Interno, lo sbarco a Lampedusa dalla nave Open Arms con a bordo 147 migranti soccorsi nel Mediterraneo durante tre operazioni di salvataggio.
La procura del capoluogo siciliano riteneva che l’attuale vice premier avesse l’obbligo di concedere un POS (place of safety) all’imbarcazione. Tuttavia, secondo i tre magistrati del collegio giudicante, non è sorto «in capo allo Stato italiano l’obbligo di coordinare le operazioni di search and rescue e di concedere il POS». Innanzitutto i tre eventi di salvataggio sono avvenuti in zone Sar non italiane «giacché deve escludersi che una responsabilità potesse derivare all’Italia» come Stato di primo contatto. Poi, in merito al quarto episodio, ossia quando secondo il capitano della nave erano in pericolo per via del peggioramento del meteo, i giudici hanno scritto che non si può parlare «di condizione di distress» «ma di una comune situazione di maltempo che non aveva cagionato nessun concreto pericolo di vita dei passeggeri».
Ed ancora: «Il convincimento che nella vicenda oggetto del presente procedimento nessun obbligo di fornire il Pos gravasse sullo Stato italiano, né, dunque, sull'odierno imputato, esime evidentemente il collegio dall'affrontare analiticamente diverse tematiche prospettate ed animatamente dibattute dalle parti». Piuttosto, «la Spagna, e non l'Italia, era tenuta a tutelare i diritti delle persone a bordo e, dunque, in linea di principio, anche a fornire l'approdo in un Place of safety (porto sicuro)».
Il tribunale è arrivato a questa conclusione sulla base di alcune considerazioni «che - scrivono i giudici - definiscono il naturale profilo centrale assunto dalla Spagna nella vicenda (a dispetto di una artificiosa chiamata in causa dell'Italia)». Il centro di coordinamento e soccorso marittimo della Spagna aveva effettivamente «operato, sin da subito, un sia pur minimo coordinamento da 'primo contatto', quale quello diretto a orientare la nave (Open Arms coi migranti soccorsi, ndr) nella individuazione degli Stati responsabili (o almeno quelli che aveva ritenuto responsabili) per la zona del sinistro, prima la Tunisia e poi Malta, mettendo in contatto l'imbarcazione con le rispettive autorità competenti».
Fin da subito, Malta, «nel declinare la propria responsabilità per i primi due eventi di salvataggio, - spiegano i magistrati - aveva chiaramente indicato la Spagna (Stato di bandiera) quale unica autorità che avrebbe dovuto assistere il natante nella prosecuzione delle operazioni». E ancora - precisano - «sia pure dopo diversi giorni, la Spagna aveva finalmente concesso il Pos, esortando la barca a recarsi ad Algeciras e poi nel più vicino porto spagnolo rispetto alla sua posizione (Maiorca), non potendo più disconoscere, a quel punto, vieppiù pressata da stringenti motivazioni umanitarie, la propria giuridica competenza sull'evento». «Infine - motiva il tribunale - quando Open Arms aveva rappresentato l'impossibilità di raggiungere il Pos indicatogli la Spagna aveva disposto l'invio della nave della Marina Militare Audaz per prelevare i migranti soccorsi e condurli in Spagna (organizzando una soluzione alternativa per raggiungere il place of safety)».
La sentenza specifica anche però che a differenza di quanto tuttavia adombrato dall’imputato e dalla sua difesa, dalle ong non ci sia stato alcun favoreggiamento dell’immigrazione clandestina: «In base all'istruttoria svolta non soltanto non è emerso alcun elemento dotato di una minima suggestività di un collegamento tra Pro Activa Open Arm e le organizzazioni dedite al favoreggiamento del flusso migratorio clandestino via mare, ma soprattutto risulta che l'Ong abbia agito all'interno del perimetro normativo delle convenzioni internazionali, avendo il comandante salvato donne, uomini e bambini che si trovavano in alto mare, a bordo di imbarcazioni precarie e in imminente pericolo di vita, così adempiendo agli obblighi imposti dalle convenzioni Unclos e Solas».
«I giudici hanno confermato che difendere l’Italia non è reato, rilevando l’ostinazione e l’arroganza di Open Arms che ha fatto di tutto per venire in Italia, scartando tutte le altre alternative che erano più logiche e naturali», commenta Salvini. Per il suo avvocato, Giulia Bongiorno, «la sentenza, con motivazione tecnicamente ineccepibile, riconosce la assoluta correttezza della condotta del ministro Matteo Salvini. Non esisteva infatti alcun obbligo di far sbarcare Open Arms in Italia. La sentenza va anche oltre e precisa che chi ha sbagliato è stata proprio Open Arms nel non cercare altre soluzioni». Ancora più breve il commento di Oscar Camps, fondatore della Ong Open Arms: «I nostri legali stanno leggendo le 270 pagine di motivazioni. Attendiamo le valutazioni della procura della Repubblica» in merito al ricorso in appello.