La richiesta avanzata dal Tribunale dei Ministri è arrivata in serata, dopo una giornata di tensioni tra le forze di maggioranza, quelle di opposizione e il sindacato delle toghe. E alla fine non ci sono state sorprese: i ministri della Giustizia e dell’Interno Carlo Nordio e Matteo Piantedosi, insieme al sottosegretario Alfredo Mantovano, per le tre giudici estratte che hanno analizzato il caso Almasri, sarebbero gravemente indiziati di favoreggiamento e, nel caso di Nordio, anche di omissione d’atti d’ufficio, per non aver chiesto tempestivamente la custodia cautelare del generale presunto torturatore, come richiesto dalla Corte penale internazionale.

Per questo, dunque, il Tribunale speciale ha chiesto alla Camera l’autorizzazione a procedere, per valutare penalmente le condotte dei tre politici più importanti del governo Meloni. Un provvedimento atteso, dal momento che la stessa archiviazione della premier Giorgia Meloni chiariva che l’impossibilità di «formulare una ragionevole previsione di condanna», come previsto dalla riforma Cartabia, valeva «limitatamente alla posizione della sola presidente del Consiglio Giorgia Meloni». Nell’ufficio di presidenza di domani, la Giunta per le autorizzazioni della Camera, presieduta da Devis Dori, articolerà i propri lavori.

Era proprio la posizione di Nordio quella sulla quale gli inquirenti si erano concentrati di più in questi mesi, tanto da chiedere di ascoltarlo. Nordio, però, aveva scelto di non presentarsi, mentre le giudici hanno declinato la richiesta di Giulia Bongiorno, avvocata di tutti gli indagati, di ascoltare Mantovano, che si era offerto di chiarire l’iter della scelta avendo seguito tutta la vicenda, affermando di ritenere le due posizioni «non fungibili».

Nella giornata di oggi ha però tenuto banco anche un’altra posizione, quella di Giusi Bartolozzi, capo di gabinetto del ministro Nordio. E attorno a lei è scoppiata l’ennesima polemica tra via Arenula e l’Associazione nazionale magistrati. Lo scontro nasce da un equivoco mediatico. Alcuni titoli giornalistici, nel sintetizzare l’intervista del presidente dell’Anm Cesare Parodi a Radio anch’io (Rai), gli hanno attribuito una valutazione che in realtà era stata formulata dal conduttore, Giorgio Zanchini.

Quest’ultimo aveva chiesto a Parodi se un’eventuale iscrizione di Bartolozzi — che, diversamente dai ministri, non avrebbe bisogno dell’autorizzazione del Parlamento per essere processata — potesse avere ripercussioni anche sugli altri membri del governo. La risposta di Parodi è stata cauta: «Dipende cosa lei intende per indirettamente, nel senso che un processo dove vengono accertati, magari in via definitiva, certi fatti ha evidentemente una ricaduta politica, neanche tanto indiretta, sulle persone coinvolte». Nulla di più.

Ma la reazione di Nordio, in quel momento alla Camera per il voto del nuovo membro laico del Csm, è stata durissima: «Sono sconcertato dalle parole di un presidente Anm considerato, sino ad ora, equilibrato. Non so come si permetta di citare la mia capo di gabinetto, il cui nome, per quanto mi risulta, non è citato negli atti. In caso contrario dovrei desumere che Parodi è a conoscenza di notizie riservate. Quanto all’aspetto politico, considero queste affermazioni, fatte da un autorevole rappresentante Anm, una impropria ed inaccettabile invasione di prerogative istituzionali».

La replica di Parodi non si è fatta attendere: «Il sottoscritto non ha mai citato né fatto riferimento alla dottoressa Bartolozzi. Ho invece sviluppato un ragionamento generale che prescinde dall’inchiesta in corso. Ha assolutamente ragione il ministro a dire che, in caso contrario, sarebbe stata un’invasione di campo: approccio che non mi appartiene né culturalmente né caratterialmente».

Il clima resta tesissimo. Questo scambio di accuse appare come un test in miniatura dell’aria che si respirerà tra Anm e governo nei mesi che precederanno il referendum. Anche perché la richiesta di autorizzazione a procedere per Nordio, Piantedosi e Mantovano non potrà che avere ripercussioni pesantissime sul piano politico: paradossalmente, più un assist al governo che uno sgambetto, dato che la richiesta è destinata a essere respinta dalla Camera. Un ulteriore argomento, dunque, per scagliarsi contro le cosiddette “toghe politicizzate”, dopo le polemiche seguite alla recente decisione della Corte di Giustizia europea sul decreto “Paesi sicuri”.

Resta però l’incognita Bartolozzi, nata a seguito dell’equivoco e rimasta in sospeso per tutto il giorno. E che aveva fornito anche una possibile spiegazione al dilatarsi dei tempi nella notifica di una decisione che la procura avrebbe dovuto trasmettere «immediatamente, come dice la legge», come sottolineato da Nordio in Transatlantico, ipotizzando che il fascicolo non sarebbe arrivato in giornata.

Secondo indiscrezioni, il guardasigilli si attendeva di essere l’unico esponente del governo per il quale sarebbe stata chiesta l’autorizzazione a procedere. Non perché considerasse la sua condotta scivolosa, ma perché era questa la voce che circolava insistentemente tra gli addetti ai lavori: pur ritenendo infondati gli addebiti per omissione di atti d’ufficio e favoreggiamento, Nordio era consapevole che era la sua la posizione più esposta. Ma ora è certo che non sarà da solo.

Il Tribunale dei Ministri, nella sua valutazione sulla posizione di Meloni, sottolinea che il Prefetto Giovanni Caravelli, capo dell’Aise, ha riferito di aver informato la presidente del Consiglio, limitandosi però a valutazioni soggettive («ritengo, sulla base di indicazioni che mi dava il sottosegretario Mantovano, che fosse d’accordo»), senza chiarire la natura o la portata di quelle informazioni. Per quanto riguarda la premier, non emergerebbero, dunque, elementi concreti sulla condivisione delle decisioni. Neppure la nota di ringraziamento delle autorità libiche, secondo i magistrati, può essere considerata prova univoca: nel linguaggio protocollare, i ringraziamenti sono rivolti alla massima autorità di governo, indipendentemente da chi abbia materialmente agito.

Infine, le giudici chiariscono che l’assunzione di responsabilità politica da parte di Meloni, successiva all’informazione di garanzia, non ha rilevanza penale: «Il piano dell’assunzione di responsabilità politica - si legge nel decreto di archiviazione - è distinto e retto da principi diversi rispetto a quelli propri dell’imputazione della responsabilità penale». In tema di concorso morale, ricordano, il contributo concorsuale è penalmente rilevante solo se rafforza e rende definitivo un proposito criminoso già esistente. Nel caso specifico, «gli elementi indiziari sopra evidenziati» non raggiungono la gravità, precisione e concordanza necessarie per affermare che Meloni fosse stata preventivamente informata e avesse condiviso le decisioni. Conclusione: non si può «formulare una ragionevole previsione di condanna», come previsto dalla riforma Cartabia.

A commentare la vicenda anche il legale di uno dei testimoni contro Almasri alla Cpi, Lam Magok. «La premier Meloni ha affermato che i ministri non governano in autonomia. È un’assunzione di responsabilità e la procura di Roma dovrebbe riaprire il fascicolo, in alternativa saremo noi a valutare il da farsi», ha dichiarato l’avvocato Francesco Romeo nel corso di una conferenza stampa convocata dall'associazione Baobab Experience. Il messaggio di Meloni, col quale «ha rivendicato la liberazione di un torturatore - ha commentato poi Magok -, mi ha fatto paura e mi ha fatto male. Non so se riuscite a immaginare cosa significhi essere vittima di tortura».