Un omicidio feroce, ma non premeditato. La Corte d’assise d’Appello di Milano ha depositato le motivazioni della sentenza con cui ha condannato all’ergastolo Alessandro Impagnatiello, ex barman dell’Armani Cafè di Milano, responsabile dell’uccisione della compagna Giulia Tramontano, incinta di sette mesi, il 27 maggio 2023 nella loro casa di Senago.

Secondo i giudici popolari, guidati dalla presidente Ivana Caputo e dalla giudice a latere Franca Anelli, Impagnatiello aveva avvelenato per mesi Giulia con veleno per topi per sopprimere il feto, ma la volontà di uccidere la donna sarebbe maturata solo nel pomeriggio del delitto, tra le 17 e le 19. Non quindi fin da dicembre 2022, come ritenuto in primo grado, ma in quel lasso di tempo in cui l’imputato capì che non era riuscito a convincere la compagna a evitare l’incontro con l’amante.

La Corte ha riconosciuto le aggravanti della crudeltà e del legame di convivenza. Impagnatiello colpì Giulia con 37 coltellate, di cui 11 mentre era ancora viva, per poi tentare di bruciare il corpo con alcol e benzina e nasconderlo per quattro giorni in un’intercapedine. «Non si è limitato a uccidere con il metodo più immediato ed efficace – scrivono i giudici –: ha voluto dare sfogo a una furia rabbiosa, infliggendo lesioni inutilmente afflittive».

Pur escludendo la premeditazione, i magistrati parlano di «dolo di proposito»: l’imputato ebbe il tempo di scegliere l’arma, decidere come colpire e sorprendere la vittima alle spalle, impedendole ogni difesa. Per la Corte, la sequenza delle coltellate e la brutalità dell’azione giustificano la qualificazione di omicidio aggravato dalla crudeltà.

La difesa, rappresentata dall’avvocata Giulia Geradini, aveva contestato l’aggravante. La sentenza ha respinto l’istanza, confermando che il gesto non fu solo omicida ma anche punitivo, carico di violenza e frustrazione. Impagnatiello resta così condannato all’ergastolo.