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Former UEFA President, Michel Platini after the verdict at the special appeals court, in Muttenz, Switzerland, Tuesday, March 25, 2025. (Urs Flueeler/Keystone via AP) Associated Press / LaPresse Only italy and spain
Dieci anni di indagini, di sospetti, di accuse, di umiliazioni. Dieci anni in cui il nome di Michel Platini è stato trascinato nel fango per poi venire assolto in via definitiva. «Io sono come il nuovo Dreyfus» ha lanciato, iperbolico, dal palco del Festival di Giustizia penale di Sassuolo dove era invitato d’onore.
L’ex presidente dell’Uefa è tornato davanti al pubblico non per parlare di tattiche o di coppe, ma di giustizia. Così l’amarezza e la frustrazione si tingono di rabbia e le roi denuncia il sistema responsabile dalla sua via crucis giudiziaria: «La giustizia sportiva è uno scandalo. In Svizzera i presidenti delle commissioni sono nominati dalla FIFA. Tutto resta nelle loro mani, tutto si decide tra di loro. È una mafia svizzera dove il tribunale sportivo è il braccio armato dei dirigenti. Mal calcio non appartiene alla FIFA o all’UEFA: appartiene a tutti».
Il j’accuse di Platini, oggi appesantito nel fisico e nello spirito, contrasta con la leggerezza proverbiale con cui danzava sui campi di calcio; il genio ondeggiante e visionario che volteggiava sul rettangolo verde come una farfalla e pungeva come un’ape; non sembrava un atleta professionista ma un impiegato travestito da fuoriclasse, un artista che per puro caso aveva scelto il pallone invece di un pennello. Niente muscoli scolpiti, nessuna corsa forsennata, solo uno sguardo che vedeva cose che gli altri non potevano neanche immaginare, corridoi invisibili, traiettorie occulte. Il suo calcio era un esercizio di eleganza e intelligenza, in bilico tra la poesia e l’architettura.
Alla Juventus era un’anomalia. L’unico calciatore che aveva un posto riservato al tavolo di Gianni Agnelli. «Platini gioca come se il pallone fosse un’idea», diceva l’Avvocato. Poi, quando a soli 34 anni smette di giocare il calcio e dopo un breve e sfortunato passaggio da allenatore della Francia, inizia la scalata« ai vertici della UEFA di cui diventa presidente con l’idea, un giorno di approdare alla FIFA.
L’inchiesta che lo travolge nasce nel 2015. Da quel momento, dice Platini, su di lui «si è abbattuta una tempesta». Una macchina implacabile che lo ha spazzato via dal suo mondo. «Alcuni non mi volevano presidente della FIFA. Alla fine, la giustizia sportiva si è rivelata una parodia: è stato dimostrato che avevano sbagliato tutto».
Al centro dell’inchiesta, un pagamento di due milioni di franchi svizzeri effettuato nel 2011 dalla FIFA, allora guidata da Sepp Blatter, a titolo di “saldo” per un vecchio accordo di consulenza. Platini aveva lavorato per l’organizzazione tra il 1998 e il 2002, con un compenso di un milione all’anno, concordato — dicono entrambi — anche verbalmente. Una parte di quella somma, non versata all’epoca per problemi di liquidità, sarebbe stata pagata solo anni dopo.
I magistrati svizzeri parlarono di truffa, gestione sleale, abuso di fiducia. La FIFA, intanto, lo sospende. Le sue ambizioni di diventarne presidente, sfumano miseramente. Per anni Platini è stato trattato come un colpevole in attesa di condanna. Eppure, nel 2022, la giustizia elvetica lo assolve in primo grado. Poi, nel 2024, anche la Corte d’appello conferma: nessun reato, nessuna prova, l'assoluzione viene confermata il 25 marzo 2025 dalla Camera d'appello straordinaria del TPF a Muttenz.
«La FIFA non mi voleva — racconta Platini alla Gazzetta dello sport — perché sapevano che avrei cambiato tutto. Lì la zuppa è buona, e nessuno vuole toccarla». Eppure, ora che l’incubo è finito, Platini parla di futuro. «Forse rientrerò. Non so come, ma credo che il calcio abbia bisogno dei calciatori per essere governato. Io ormai sono vecchio, ma mi piacerebbe aiutare altri a decidere il destino del gioco».
A sentirlo parlare tra gli applausi dei fan accorsi a Sassuolo, sembra di rivederlo in campo: il corpo un po’ curvo, le spalle leggere, gli occhi che scrutano lo spazio prima che la palla arrivi. Nella sua voce si percepisce però la sofferenza di un uomo che ha scoperto quanto fragile possa essere la verità in un mondo dominato dal populismo penale e dal processo mediatico. Ma si sente anche la fierezza di chi non ha ceduto. Platini non chiede vendetta, chiede giustizia per il calcio stesso — per quel gioco che ha amato e che lo ha tradito.
Oggi Michel Platini è un uomo libero, ma la libertà non basta a cancellare l’ingiustizia. Il giustizialismo sportivo lo ha trasformato in un simbolo, suo malgrado, di quanto fragile sia la reputazione quando viene affidata alla foga del sospetto. E mentre le sue parole rimbalzano in una sala di provincia, in una sera qualsiasi, sembra che il vecchio numero dieci stia ancora tracciando le sue linee invisibili. Solo che questa volta non lo fa con il piede, ma con la memoria.


