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ROCCO MARUOTTI SEGRETARIO ANM
Processo mediatico come insensata giustizia anticipata, l’indagato da considerare innocente, magistrati che giustamente indagano su altri magistrati. Concetti banali ma che se espressi dal numero due dell’Anm assumono una certa rilevanza in questo particolare momento, ossia a pochissimi giorni dall’approvazione definitiva della separazione delle carriere al Senato e quindi all’avvio della campagna referendaria.
Una presa d’atto dell’esistente che serve alla magistratura per allontanare da sé vari spettri che potrebbero minarne l’immagine in questi mesi invernali ma molto caldi dal punto di vista politico. A parlare ai microfoni di Radio Cusano Campus è appunto Rocco Maruotti, Segretario Generale del “sindacato” delle toghe. Il tema è quello dell’inchiesta bis di Garlasco. Dice Maruotti, tra l’altro pure pubblico ministero a Rieti: «La magistratura fa il suo lavoro, lo fa anche quando indaga su magistrati, e in questo caso un pezzo di indagine riguarda anche l'ex procuratore aggiunto di Pavia. Questo dimostra che la magistratura non fa sconti».
Il riferimento è a Mario Venditti accusato di aver ricevuto del denaro per scagionare Andrea Sempio. Insomma la magistratura avrebbe gli anticorpi anche per cercare al suo interno chi non rispetta le regole. Un messaggio funzionale a minare la tesi di chi sostiene che le toghe costituiscano un soggetto corporativista che difende sempre sé stesso come una vera casta. Maruotti poi prosegue sostenendo che «stiamo assistendo ad un processo mediatico con una giustizia senza processo, celebrata sui giornali o sulle televisioni. È una giustizia anticipata, in cui si va alla ricerca di una verità senza avere i mezzi per poter dire qualcosa di sensato». E a farne le spese in questo momento è appunto Andrea Sempio, la cui vita è stata stravolta e passata al setaccio senza neanche che vi sia stato un rinvio a giudizio. E anche in quel caso sarebbe inopportuno perché è nel processo che si forma la prova.
Maruotti poi rassicura che nonostante la pressione mediatica il giudice rimane impermeabile: «Al magistrato si chiede di riuscire a decidere senza farsi influenzare dalle pressioni esterne, dalle passioni del pubblico e da quello che viene deciso in anticipo sui programmi televisivi. I magistrati fanno questo, anche quando è sgradito al popolo come più volte successo in passato, il giudice ha la forza di decidere a prescindere da quello che il pubblico si aspetta, perché applica la legge». E su questo è lecito avere dei dubbi perché il giudice è umano, ha le stesse paure di tutti noi: chi può mettere la mano sul fuoco che un giudice resti impassabile alle pressioni esterne e decida in scienza, coscienza e diritto quando potrebbe rischiare anch’egli un linciaggio mediatico o addirittura una ispezione ministeriale per una sentenza non gradita?
Comunque Maruotti ha concluso: «Il lavoro dei giornalisti è doveroso, va rispettato il diritto di cronaca ed è giusto che il pubblico venga informato. Ma bisogna sempre considerare il principio di non colpevolezza, quando parliamo di un indagato parliamo di un innocente. Viviamo, giustamente, in un sistema garantista» tuttavia «l'errore fa parte della vita e anche i magistrati possono sbagliare». Il riferimento è alla possibilità che si verifichi un errore giudiziario, considerato fisiologico nel sistema perché legato alla fallibilità del magistrato. Un discorso quello di Maruotti che verrà molto probabilmente riproposto domani nella sua relazione in Cassazione dove si terrà l’assemblea dell’Anm, primo evento di lancio della campagna in vista del referendum della prossima primavera.
Da un lato la magistratura deve fare i conti con la nuova inchiesta su Garlasco e con le conseguenze che potrebbe avere su di essa. Sarà facile cavalcarne l’onda da parte dei favorevoli alla riforma costituzionale per sostenere più fortemente che i magistrati sbagliano, mandano forse in galera degli innocenti come Alberto Stasi, fanno uscire le veline dalle procure trasformando l’indagato «in un morto che cammina» (Cit. Giorgio Spangher) e quindi vanno riformati. Dall’altro lato questo spunto servirà a Maruotti per ribadire un concetto già espresso in passato per contestare la modifica dell’ordinamento giudiziario: «La verità è che non si vuole accettare il fatto che il giudice piuttosto che portato ad appiattirsi sulle tesi del pm è fallibile e che l’infallibilità del giudice dell’ultimo grado di giudizio è solo una convenzione che ci siamo dati. Come ha scritto in una sentenza il giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti Robert Jackson: “Noi non abbiamo l’ultima parola perché siamo infallibili, ma siamo infallibili perché abbiamo l’ultima parola”».
Certo quello dell’errore giudiziario è un argomento che nulla ha a che vedere con il testo del ddl costituzionale targato Nordio e Meloni ma che comunque verrà usato in questi mesi come corollario per minare l’autorevolezza della magistratura. Non dimentichiamo che il Guardasigilli, al termine della proiezione delle prime due puntate della serie Portobello dedicata ad Enzo Tortora, aveva dichiarato che «il magistrato che sbaglia deve cambiare mestiere». E quindi bene ha fatto Maruotti ad ammettere che un problema esiste e che il processo mediatico svilisce la presunzione di innocenza di un indagato. Un meccanismo questo che per anni è stato alimentato proprio da un travaso di informazioni dalle procure alla stampa, spesso negato dalla stessa magistratura. Ma che invece Maruotti tratteggia perché è inevitabile negarlo. E una autocritica non può che fare bene all’Anm.


