Le nomine dei vertici degli uffici giudiziari non sono un problema solo per la magistratura ordinaria. Anche la Corte dei Conti, ultimamente nel mirino del governo dopo la decisione di bocciare il Ponte sullo Stretto, è finita da tempo sotto la scure dei giudici amministrativi che annullano puntualmente le scelte del Consiglio di presidenza delle toghe contabili. L’ultimo caso ha riguardato un interpello per l’assegnazione di ben quattordici posti dirigenziali.

Nel bando dell’organo di autogoverno della Corte dei Conti, presieduto da Guido Carlino, veniva indicato che l’assegnazione sarebbe dovuta avvenire in base all’anzianità nella qualifica di consigliere e, in secondo luogo, ad un punteggio discrezionale motivato che riguardava l’attitudine, la capacità organizzativa, la professionalità, la varietà delle attività svolte, gli incarichi ricoperti, e la formazione dell’aspirante. A sorpresa, però, un candidato che sulla carta sembrava avere tutti i requisiti previsti, e che aveva fatto domanda per più incarichi, veniva scartato senza tante spiegazioni. Inevitabile, quindi, il ricorso al Tar da parte di quest’ultimo che stigmatizzava carenze nella valutazione comparativa tra candidati e, soprattutto, una motivazione delle assegnazioni generica e non adeguata ai criteri del bando. In pratica, il Consiglio di presidenza non aveva data conto del raffronto effettivo (anche sintetico) tra tutti gli aspiranti e dei punteggi discrezionali assegnati.

Il ricorso veniva accolto dalla prima sezione del Tar del Lazio, presidente Francesca Petrucciani, che stigmatizza “eccesso di potere” e “carenza di motivazione e di istruttoria” nella decisione. I candidati risultati vittoriosi avevano profili meno coerenti con la funzione da svolgere. In un caso anche con meno anni di servizio: quattro anni nella funzione da svolgere rispetto ai circa venti del ricorrente. Il Tar, richiamando il Testo unico delle nomine della Corte dei Conti, evidenziava che l’attribuzione del punteggio discrezionale doveva avvenire “con giudizio motivato”, e che la giurisprudenza aveva chiarito che la motivazione doveva essere “rafforzata e puntuale” quando si deve giustificare perché un candidato è preferito a un altro. Nel verbale della delibera, aggiungeva il Tar, non è stata invece evidenziata alcuna proposta e non vi era neppure nulla che potesse indicare che era stato effettuato un raffronto tra tutti gli aspiranti. Relativamente ai posti contestati, la motivazione risultava sintetica e focalizzata solo sui candidati nominati, senza menzionare il ricorrente né spiegare perché fosse stato escluso o superato; il punteggio di anzianità era stato attribuito senza spiegare le differenze tra candidati, e la componente discrezionale non era spiegata in relazione al ricorrente.

Per queste ragioni, le assegnazioni impugnate andavano annullate e il Consiglio di presidenza della Corte dei Conti doveva procedere a una nuova valutazione comparativa corredata da motivazione puntuale. Ma non solo. Il Tar ha poi affermato che, anche in contesti interni di carriera (non un concorso pubblico aperto), le decisioni collegate all’assegnazione di funzioni devono essere motivate in modo che sia possibile verificare come siano stati applicati i criteri previsti (anzianità, attitudine, capacità), e non possono essere ridotte a formule generiche che impediscano il controllo giurisdizionale.

La vicenda ha messo in luce un conflitto tra criteri formali di selezione interna (anzianità e valutazione attitudinale) e la necessità di una prassi amministrativa che rispetti le garanzie di trasparenza e parità di trattamento. Non basta, in altre parole, indicare un criterio generale (“maggiore efficienza”, “brillante audizione”, “capacità organizzativa”), ma occorre concretamente dimostrare – nella motivazione – perché rispetto ai concorrenti è stato preferito il candidato nominato. In assenza di ciò, la nomina risulta illegittima. La sentenza dello scorso giugno, perciò, assume valore di monito per tutte le procedure di carriera e nomina delle toghe contabili, che adottino modalità analoghe, rafforzando il controllo giurisdizionale sulla corretta applicazione dei criteri comparativi di selezione.