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FABIO PINELLI CSM
Il Csm non ha rispettato la volontà del legislatore. È la sintesi del commento pronunciato a freddo da Isabella Bertolini, laica di centrodestra del Csm, che mercoledì si è astenuta dal voto sulla delibera relativa ai test psicoattitudinali per i magistrati, norma votata a marzo 2024 dal governo, che ha poi delegato Palazzo Bachelet a predisporre le prove a partire dai concorsi banditi dopo il 31 dicembre 2025.
«Il Csm ha impiegato quasi due anni per fare una delibera che non rispetta la volontà del legislatore - commenta al Dubbio Bertolini - e ha dato incarico a quattro esperti che dovranno, dopo approfondimenti con la VI commissione, procedere alla redazione di questi test appositamente costruiti solo per i magistrati. Non saranno - come detto dal ministro in conferenza stampa - come i test Minnesota rivolti a verificare la capacità di ragionamento, la velocità di apprendimento, la soluzione di problemi e l’adattamento a contesti nuovi, ma saranno rivolti a stabilire l’idoneità all’accesso alla funzione giudiziaria, valutando attitudini specifiche a ricoprire tale ruolo». Insomma, una sorta di replica, secondo i laici, delle valutazioni di professionalità già esistenti, cosa che svuoterebbe l’iniziativa del governo.
La proposta era stata inserita come emendamento alla norma che modificava l’accesso alla magistratura e il Csm non aveva, dunque, potuto esprimere un parere. Da qui un lavoro postumo, con la scelta di strutturare test in grado di valutare le capacità cognitive necessarie per la funzione giudiziaria, con strumenti che misurano ragionamento, problem solving e capacità di adattamento rappresenterebbe, dunque, una sorta di escamotage. Un modo, in sostanza, di evitare quel rischio profilazione contro il quale le toghe si erano sin da subito schierate, con una lettera, inviata al Csm, nella quale il progetto del governo veniva definito da oltre 100 toghe «inutile, dannoso, incoerente, insidioso, pericoloso, preoccupante, offensivo».
In plenum, era stata anche Claudia Eccher a lamentare il “tradimento”, da parte del Csm, dell’intento del legislatore, trasformando quello che doveva essere un vero strumento di garanzia per i cittadini in un mero test di attitudine cognitiva. Il Parlamento – ha spiegato – voleva accertare l’esistenza di condizioni incompatibili con la funzione giudiziaria e che possono provocare gravi danni all’utente del servizio giustizia. Ma i test scelti non sarebbero in grado di rivelare tutto ciò. Il rischio sarebbe, dunque, quello di produrre un effetto opposto a quello voluto dalla legge, valutando capacità manageriali e non l’equilibrio psicologico.
Sempre durante il plenum, Bertolini si era detta «esterrefatta. Sembra che i magistrati vivano in una bolla, avulsi dalla realtà e scollegati dai cittadini». La laica ha contestato quello che definisce un atteggiamento di chiusura del corpo giudiziario, incapace di accettare qualunque forma di verifica esterna. «Ogni volta che si propone un cambiamento – aveva evidenziato – si grida al complotto o al tentativo di limitare l’autonomia della magistratura. I test sono un pastrocchio, la riforma costituzionale non va bene, nulla va bene. Ma allora vuol dire che per i togati la magistratura funziona alla perfezione? Sappiamo tutti che non è così».
Dietro la protesta dei laici di centrodestra non c’è solo una divergenza tecnica, ma una questione politica più ampia: quella della resistenza del Csm, a loro dire, a qualsiasi intervento che provenga dall’esterno, in particolare dal legislatore. In filigrana, la polemica riapre anche un altro fronte, quello della separazione delle carriere e del ruolo del Csm nella gestione delle funzioni disciplinari e di accesso alla magistratura. Per i laici di centrodestra, i test psicoattitudinali dovevano rappresentare un primo passo verso una maggiore responsabilità individuale dei magistrati, un tentativo di «normalizzazione» così come sperato dalla P2, invece, secondo la togata di Md Mimma Miele. La scelta del Csm di puntare solo sulle capacità cognitive e di affidare la definizione dei criteri ai magistrati stessi è, dunque, per i laici vicini al governo l’ennesima prova di autoreferenzialità corporativa. La frattura con la componente togata, già evidente su altri dossier, si è così allargata.
Nel frattempo, però, potrebbe aprirsi un altro tavolo di confronto con il governo, data la richiesta avanzata dall’indipendente Andrea Mirenda - poi condivisa anche dal togato Roberto Fontana - di chiedere una pratica in Sesta Commissione per verificare la disponibilità politica a spostare a valle l’accertamento. Il test a fine tirocinio, infatti, consentirebbe «un fact checking complesso», dopo uno stress test effettivo del candidato, e un notevole risparmio sulla procedura concorsuale, che, altrimenti, rischierebbe di diventare elefantiaca o, al contrario, puramente simbolica.


