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Il ministro della Giustizia Carlo Nordio prima del voto definitivo sulla separazione delle carriere in Senato, lo scorso 29 ottobre (Photo by Mauro Scrobogna / LaPresse)
Sarà lui, Carlo Nordio, il vero frontman della campagna referendaria. Il guardasigilli come simbolo della battaglia per il Sì. Alfredo Mantovano, sottosegretario alla Presidenza e, come Nordio, magistrato e principale consigliere della premier Giorgia Meloni sulla giustizia, ieri mattina avrebbero dovuto confrontarsi sull’investitura al ministro, già ben consapevole della propria destinazione alla prima linea. Poi altre emergenze hanno rubato la scena, ma la strategia in vista del voto popolare sulla separazione delle carriere resta in cima all’agenda.
È d’altronde il punto di caduta, la missione affidata al guardasigilli, delle discussioni intercorse nella maggioranza sulla consultazione che dovrà confermare la riforma.
Meloni ha spiegato, soprattutto ad Antonio Tajani, che sarebbe incoerente schierare le articolazioni territoriali di Forza Italia nella campagna per il Sì a fronte del mantra che la stessa presidente del Consiglio ha indicato per il referendum: noi abbiamo approvato il nuovo ordinamento della magistratura, cari cittadini, perché crediamo possa essere utile a tutti voi, e se lo pensate è opportuno che votiate Sì, altrimenti vorrà dire che l’articolo non v’interessa e noi non ne faremo un dramma.
Ecco, il discorso con cui Meloni vuole disallineare il proprio futuro di leader (cioè la vittoria alle Politiche 2027) dall’esito del referendum è riassumibile in quei termini. E appunto, Carlo Nordio è lo snodo perfetto, la sintesi in cui confluiranno le aspettative dei berlusconiani e la prudenza di Fratelli d’Italia, con la Lega a metà strada fra le due posizioni.
Tajani e gli azzurri dovranno farsene una ragione: Nordio è il solo che possa mettersi in gioco in tutto e per tutto. E non perché sia l’agnello sacrificale di una possibile sconfitta. Nordio non è un politico. È un magistrato e, prima ancora, un tecnico del diritto. È perciò lui il miglior testimonial di una campagna in cui il centrodestra, almeno nelle intenzioni della sua leader, chiederà il Sì alle carriere separate in nome del giusto processo, e al più della lotta alla correntocrazia nella magistratura.
Nordio è il volto che può rappresentare una battaglia preparata come rivoluzione tecnica ma non come regolamento di conti con le toghe. E la ragione è sempre la stessa, nota da tempo: va bene portare a casa una riforma della Costituzione, perché sarebbe un risultato notevole, per la prima presidente del Consiglio di destra nella storia repubblicana, ma il gioco non vale la candela della vittoria alle Politiche 2027.
Ieri a Palazzo Chigi, Mantovano e Nordio, che hanno discusso da soli, hanno parlato soprattutto di altro. Dei capitoli di spesa inseriti nella legge di Bilancio che riguardano la giustizia, di norme come il contestato (dall’avvocatura innanzitutto) requisito previsto per gli incarichi legali pubblici, dai quali saranno esclusi i professionisti non in regola con fisco e previdenza (la misura è enunciata all’articolo 129 comma 10 della Manovra).
Focus anche sul piano per l’edilizia penitenziaria e sulle altre misure presenti e future sulle carceri, con margine zero per gli “sconti di pena”, cioè per ampliamenti della già vigente liberazione anticipata. Mantovano e Meloni (con il pieno consenso del sottosegretario Andrea Delmastro) temono che qualsiasi vero intervento per contrastare il sovraffollamento delle prigioni, se realizzato durante campagna referendaria sulla separazione delle carriere, sarebbe spacciato come il segno che l’Esecutivo sta dalla parte dei delinquenti: “Da una parte gli svuotacarceri per liberare i criminali comuni, dall’altra il “divorzio” tra giudici e pm per dare copertura anche ai colletti bianchi...”.
A breve si passerà alla definizione del “messaggio” per il referendum. Che, secondo Meloni, dovrà enfatizzare il più possibile il valore civile della riforma sulle carriere dei magistrati. Sottrarre il giudice al condizionamento del pm, che avrà un Csm tutto suo, dovrà essere presentato, e d’altronde è così nella realtà, come una modifica necessaria nell’interesse dei cittadini.
Ed ecco perché, secondo Palazzo Chigi, sarà importante valorizzare il contributo che, nella campagna referendaria, potrà arrivare da componenti esterne alla politica: l’avvocatura, certo, ma pure testimonial significativi come Antonio Di Pietro, ex magistrato-simbolo della rivoluzione giudiziaria eppure convinto sostenitore della riforma Nordio.
Non si è parlato invece di Almasri, della comunicazione relativa all’arresto del militare-torturatore libico, della difesa che, esaurito l’iter dell’autorizzazione a procedere, l’Esecutivo dovrà ancora sostenere. Non sarà certo quella la sola insidia mediatica, di qui al referendum sulle carriere. Ieri Pd, M5S e Avs hanno depositato in Cassazione le firme con cui un quinto dei loro senatori chiede di indire il referendum sulla “separazione”. Elly Schlein non ha mancato di replicare a Nordio sui benefici che, secondo il ministro, la riforma arrecherà anche a futuri governi della sinistra: «Io non me ne servirò».
Il guardasigilli non sarà solo il simbolo della campagna per il Sì: sarà anche la bambola vodoo di Anm e fronte del No. Ma almeno, spilloni a parte, difficilmente potrà essere destinatario di avvisi di garanzia da qui al voto di primavera, il che è un vantaggio da non trascurare.


