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Il Consiglio nazionale forense esprime «profonda preoccupazione» per la disposizione contenuta nell’articolo 129, comma 10, della Legge di Bilancio 2026, che subordina il pagamento dei compensi ai liberi professionisti da parte delle pubbliche amministrazioni alla verifica della loro regolarità fiscale e contributiva.
Si tratterebbe, si legge in una nota, «di una norma vessatoria e discriminatoria nei confronti dei liberi professionisti, con effetti potenzialmente paralizzanti per lo svolgimento dell’attività professionale svolta anche favore delle classi meno abbienti». In base alla norma, prosegue il massimo organo dell’avvocatura, «i professionisti dovrebbero produrre, insieme alla fattura, la documentazione attestante il regolare adempimento degli obblighi fiscali e previdenziali, pena il mancato pagamento del compenso». Un meccanismo che, anche in presenza di irregolarità minime o meramente formali – come il mancato versamento della tassa di circolazione autoveicoli, di un contributo previdenziale o di una semplice contravvenzione – potrebbe comportare il blocco dei pagamenti dovuti.
«Chiediamo al governo la soppressione di questa norma, che così formulata peraltro introdurrebbe infatti fattori di ingiusta discriminazione – spiega Francesco Greco, presidente del Consiglio nazionale forense – tra professionisti e dipendenti pubblici: questi ultimi, infatti, se inadempienti ai propri obblighi fiscali, anche di importo rilevante, mantengono il diritto, ovvio e corretto, alla retribuzione; al contrario l’avvocato – per un inadempimento anche di insignificante importo – perde il diritto al compenso. Le conseguenze sarebbero gravemente pregiudizievoli per il libero esercizio della professione, con inevitabili ritardi, incertezze e contenziosi nei rapporti con le amministrazioni pubbliche».


