Alla fine, contrariamente da quanto emerso lo scorso 28 ottobre, la procura generale presso la Corte d'Appello di Venezia ha rinunciato all'impugnazione contro la condanna all’ergastolo di Filippo Turetta, inizialmente prevista per ottenere il riconoscimento delle aggravanti della crudeltà e dello stalking, escluse in primo grado dalla Corte d’Assise di Venezia.

Lo hanno fatto sapere i legali della famiglia di Giulia Cecchettin, gli avvocati Nicodemo Gentile, Piero Coluccio e Stefano Tigani, cui è stata comunicata la decisione. Che, di fatto, chiude la vicenda processuale, anche alla luce della rinuncia ai motivi di appello di Filippo Turetta. In una lettera, il giovane detenuto nel carcere veronese di Montorio aveva spiegato la sua rinuncia a difendersi assumendosi la «piena responsabilità per quello che ho fatto di cui mi pento ogni giorno sinceramente dal profondo del cuore».

Quella della procura è una scelta – hanno commentato i legali – che «riteniamo giustamente e pienamente condivisibile. Infatti, la rinuncia dell’imputato rende definitiva la sentenza di primo grado e “cristallizza”, senza più margini di dubbio, la sussistenza dell’aggravante della premeditazione: tra le circostanze più gravi e subdole previste dal nostro ordinamento». L’aggravante, secondo gli avvocati, «assume un significato ancora più drammatico in una vicenda omicidiaria caratterizzata, di fatto, da motivi abietti, arcaici e spregevoli, espressione di una visione distorta del legame affettivo e di un’idea di possesso che nulla ha a che fare con l’amore e il rispetto». Così come la decisione della procura di rinunciare all’appello la allontana dallo spettro di un diritto penale simbolico.

«La famiglia Cecchettin – conclude la nota dei legali -, ha affrontato ogni fase del processo con dolore profondo, ma anche con straordinaria dignità. Oggi sente l’esigenza di voltare pagina, di interrompere quel circuito giudiziario che, inevitabilmente, continuava a riaprire la ferita. Con la definitiva affermazione delle gravissime responsabilità dell'imputato Filippo Turetta, resta ora un impegno essenziale: trasformare il dolore in consapevolezza, affinché la società – a partire dai più giovani – possa riconoscere, prevenire e contrastare le radici profonde della violenza di genere».