PHOTO
Il Ministro della Giustizia Carlo Nordio occasione della quarta edizione dell’evento “Parlate di mafia” organizzato dai gruppi parlamentari di Fratelli d’Italia. Roma Venerdì 18 Luglio 2025. (foto Mauro Scrobogna / LaPresse) Minister of Justice Carlo Nordio in occasion of the fourth edition of the "Talk about the Mafia" event organized by the parliamentary groups of the Brothers of Italy party FDI. Rome, Friday July 18 2025. (Photo by Mauro Scrobogna / LaPresse)
«“Niente impugnazione contro le sentenze di assoluzione, come in tutti i Paesi civili. Altrimenti finiamo a ciò che è avvenuto col caso Garlasco. Al di là delle implicazioni politiche di questa scelta inusuale, si pone il problema tecnico. Come potrebbe un domani intervenire una sentenza di condanna al di là di ogni ragionevole dubbio, quando dopo tre anni di udienza un giudice ha dubitato e ha assolto? La lentezza della nostra giustizia dipende anche dall’incapacità di molti magistrati di opporsi all’evidenza. Rimedieremo”: così il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, a margine del convegno di Fd’I “Parlate di mafia”, in relazione all’impugnazione della sentenza di assoluzione sulla vicenda Open Arms nei confronti di Matteo Salvini, allora Ministro dell’Interno».
Quanto appena letto è stato diffuso da una nota del ministero della Giustizia lo scorso venerdì. Ma la comunità dei giuristi, degli avvocati e dei magistrati dissente col Guardasigilli. Una cosa, infatti, è legare il problema dell’inappellabilità nel merito delle sentenze di assoluzione alla vicenda giudiziaria del delitto di Garlasco (Alberto Stasi fu assolto in primo grado ma la procura fece appello), altra cosa è mettere in dubbio il ricorso in Cassazione (quindi anche quello “per saltum” fatto dalla Procura di Palermo) garantito dalla Costituzione.
Tanto è vero che tutti i progetti di riforma per inserire nel nostro sistema l’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento non ha mai avuto l’intenzione di modificare il ricorso dinanzi agli ermellini. Ad esempio per Paolo Ferrua, emerito di Diritto processuale penale presso l’Università degli Studi di Torino, «sarebbe altamente insensato modificare una norma sacrosanta come l’articolo 111, paragrafo 7 della Costituzione, che prevede il ricorso per Cassazione contro tutte le sentenze e i provvedimenti sulla libertà personale. Anche le sentenze di assoluzione possono essere viziate in punto di diritto, ad esempio, travisando gravemente il significato di una fattispecie penale. La circostanza, che nel singolo caso il ricorso per Cassazione possa rivelarsi infondato, non è una buona ragione per abbattere una fondamentale garanzia, in assenza della quale il giudice di merito potrebbe, nell’assolvere, violare impunemente le più elementari regole di diritto. Alla più o meno palese infondatezza del ricorso l’ordinamento è perfettamente in grado di reagire, respingendo il ricorso o, nei casi più gravi, dichiarandolo inammissibile».
Anche Giorgio Spangher, emerito di procedura penale presso la Sapienza di Roma, pur ritenendo «pienamente legittima una soluzione che comporti l’inappellabilità delle sentenze di assoluzione», ammette che rispetto a quanto detto da Nordio sulla questione Open Arms, «in effetti la materia è governata dall’articolo 111 della Costituzione. Ora, è vero che è possibile in qualche modo limitare il ricorso per Cassazione da parte dei vari soggetti. E in effetti queste previsioni esistono: per esempio c’è l’eccezione per quanto attiene le sentenze di patteggiamento e le sentenze del concordato, ma il dato è pienamente giustificabile in quel caso, perché si tratta di decisioni pattuite fra pm e difesa». Secondo il giurista, poi, «una eccessiva estensione dell’esclusione della legittimazione al ricorso da parte del pm sarebbe difficilmente sostenibile, soprattutto se abbinata pure ad una riconosciuta inappellabilità da parte del pm delle sentenze di proscioglimento». Spangher poi riconosce che potrebbe esserci anche una incongruenza nel sistema: «Al pm sarebbe riconosciuto il diritto di ricorrere in Cassazione contro la sentenza di condanna, ma non contro la sentenza di proscioglimento».
Pure secondo Marcello De Chiara, vice presidente dell’Anm, «constatare che i nostri legislatori tendano a confondere appello e ricorso in Cassazione e dimentichino che, in base alla norma costituzionale sul giusto processo, contro le sentenze è ammesso il ricorso in Cassazione per violazione di legge è qualcosa che disorienta fortemente». Meno rigida la posizione del professor avvocato Adolfo Scalfati, ordinario di Procedura penale, presidente dell’Associazione tra gli studiosi del processo penale Pisapia: «La statuizione costituzionale (articolo 111 comma 7) impone l’obbligo di prevedere il ricorso per Cassazione solo nei casi di “violazione della legge”; ma niente vieta una legittimazione differenziata tra pubblico ministero e imputato, consentendo al primo il ricorso nella sola ipotesi di erronea qualificazione penale del fatto. Obiettare la disparità tra le parti non sarebbe decisivo: il pubblico ministero dispone di straordinarie potenzialità investigative; se non riesce a provare la colpevolezza, la sua esigenza di provocare un controllo sulla decisione di proscioglimento non è commisurabile a quella dell’imputato che ha subìto la condanna».
Comunque, al momento, al ministero della Giustizia, come riferito dal Corriere della Sera, non ci sarebbe intenzione di scrivere alcun disegno di legge per revisionare la materia in quanto sarebbe percepito come un “Salva Salvini”, anche perché gli stessi partiti di maggioranza sono consapevoli che bisognerebbe mettere mano alla Costituzione, al di là dei proclami a caldo. E adesso, per il governo, c’è solo una riforma costituzionale che deve viaggiare veloce, ed è quella sulla separazione delle carriere, che verrà approvata al Senato in conclusione della prima fase di deliberazione.