Sì al congedo di paternità per la “madre intenzionale”, ovvero la donna che non ha partorito il figlio ma ha condiviso un percorso di procreazione medicalmente assistita con un’altra donna. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale dopo la storica decisione dello scorso maggio, con la quale i giudici hanno sancito il riconoscimento automatico di entrambi i genitori per il minore nato in Italia ma concepito all’estero tramite le tecniche che nel nostro Paese sono vietate alle coppie di donne. 

Con la sentenza depositata oggi, la numero 115, la Consulta ha stabilito che “è costituzionalmente illegittimo l’articolo 27-bis del decreto legislativo numero 151 del 2001 nella parte in cui non riconosce il congedo di paternità obbligatorio a una lavoratrice, genitore intenzionale in una coppia di donne risultanti genitori nei registri dello stato civile”. 

La questione – spiega la Corte in un comunicato stampa - era stata sollevata dalla Corte d’appello di Brescia, che aveva ritenuto discriminatoria la disposizione in oggetto, la quale consente soltanto al padre di fruire del congedo di paternità obbligatorio, pari a 10 giorni di astensione dal lavoro retribuiti al 100%, escludendo, quindi, dal beneficio la “seconda madre”, nel caso in cui la coppia di genitori sia formata da due donne riconosciute entrambe, perché iscritte nei registri dello stato civile, come madri dallo Stato italiano.

Confermando il proprio orientamento sul tema, la Corte ha quindi ritenuto “manifestamente irragionevole la disparità di trattamento tra coppie genitoriali composte da persone di sesso diverso e coppie composte da due donne riconosciute come genitori di un minore legittimamente attraverso tecniche di procreazione medicalmente assistita svolte all’estero conformemente alla lex loci. Costoro, infatti, ha osservato la Corte, condividendo un progetto di genitorialità, hanno assunto, al pari della coppia eterosessuale, la titolarità giuridica di quel fascio di doveri funzionali alle esigenze del minore che l’ordinamento considera inscindibilmente legati all’esercizio della responsabilità genitoriale”. 

L’orientamento sessuale, ha precisato la Consulta, non incide di per sé sulla idoneità all’assunzione di tale responsabilità. Risponde all’interesse del minore, che ha carattere di centralità nell'ordinamento nazionale e sovranazionale, vedersi riconoscere lo stato di figlio della madre biologica, che lo ha partorito, e di quella intenzionale, che abbiano condiviso l'impegno di cura nei suoi confronti”. Il diritto del minore a mantenere un rapporto con entrambi i genitori è riconosciuto a livello di legislazione ordinaria (articoli 315-bis e 337-ter del codice civile) nonché da una serie di strumenti internazionali e dell'Unione europea.

“Con riguardo, in particolare, alla provvidenza in questione, osserva la Corte, viene in rilievo l’esigenza di dedicare un tempo adeguato alla cura del minore, anche attraverso la modulazione di quello da destinare al lavoro, in coerenza con la finalità di favorire l’esercizio dei doveri genitoriali secondo una migliore organizzazione delle esigenze familiari, in un processo di progressiva valorizzazione dell’aspetto funzionale della genitorialità, identico nelle formazioni costituite da coppie omosessuali ed eterosessuali.

Ed è ben possibile, conclude la Corte, identificare nelle coppie omogenitoriali femminili una figura equiparabile a quella che è la figura paterna all’interno delle coppie eterosessuali, distinguendo tra la madre biologica e quella intenzionale, che ha condiviso l'impegno di cura e responsabilità nei confronti del nuovo nato e vi partecipa attivamente”. 

Principi simili erano stati sanciti con la già citata sentenza 68 del 22 maggio, che ugualmente colloca al primo posto la tutela dei minori nati da coppie omogenitoriali. Anche quella decisione, con la quale la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 8 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), si fonda sull’impegno “irrevocabile” preso da entrambe le mamme nel percorso di Pma, e sulla centralità dell’interesse del minore. Che non era garantito, a parere dei giudici, dall’impedimento alla doppia genitorialità previsto dalla norma.