«Storica». Di più: «Rivoluzionaria». La sentenza della Corte Costituzionale sulle famiglie composte da due mamme segna una svolta fondamentale. E il fragore col quale è accolta si deve a più di un motivo: sul piano dei diritti, cambierà la vita di molte donne che hanno condiviso o condivideranno un percorso di procreazione medicalmente assistita; sul piano politico, toglierà finalmente dall’impasse i sindaci che fino ad oggi si sono occupati dei riconoscimenti all’anagrafe senza una bussola. Il tutto “semplificando” anche il lavoro nei tribunali, sempre più investiti delle battaglie giudiziarie scaturite dopo lo stop del Viminale.

La Consulta mette un punto a tutto, collocando al primo posto la tutela dei minori nati da coppie omogenitoriali. Da oggi in poi, stabilisce la Corte, non sarà più necessario per la madre “intenzionale”, ovvero colei che non ha partorito, richiedere l’adozione in casi particolari: il riconoscimento è automatico, per il minore nato in Italia ma concepito all’estero tramite le tecniche che nel nostro Paese sono vietate alle coppie di donne. Con la sentenza numero 68 depositata oggi, la Corte infatti “dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 8 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), nella parte in cui non prevede che pure il nato in Italia da donna che ha fatto ricorso all’estero, in osservanza delle norme ivi vigenti, a tecniche di procreazione medicalmente assistita ha lo stato di figlio riconosciuto anche della donna che, del pari, ha espresso il preventivo consenso al ricorso alle tecniche medesime e alla correlata assunzione di responsabilità genitoriale”.

La decisione si fonda su due elementi: l’impegno “irrevocabile” preso da entrambe le mamme nel percorso di Pma, e la centralità dell’interesse del minore. Che non è garantito, a parere dei giudici, dall’attuale impedimento alla doppia genitorialità. Al contrario, argomenta la Corte, il mancato riconoscimento fin dalla nascita dello stato di figlio di entrambi i genitori costituisce una violazione degli articoli 2, 3 e 30 della Costituzione, perché lede il diritto all’identità personale del minore e pregiudica sia l’effettività del suo «diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni» sia il suo «diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale».

Tutti diritti che hanno anche risvolti strettamente pratici, come hanno spiegato in questi anni le famiglie “scippate” del riconoscimento. È il caso delle mamme di Padova, dove la procura aveva chiesto la rettifica degli atti di nascita già registrati rimuovendo il nome della madre “intenzionale”. Ed è il caso di Lucca, dal quale scaturisce la sentenza della Consulta. «È stata una lunga battaglia, ma ne è valsa la pena. Il nostro obiettivo era di tutelare i nostri bambini, ora lo saranno tutti», commenta Glenda, una delle due mamme per le quali il tribunale aveva posto la questione di legittimità dopo l’impugnazione dell’atto di nascita.

Tutto era cominciato nel 2023, quando una circolare del Viminale aveva imposto lo stop ai riconoscimenti sulla base della sentenza della Cassazione a Sezioni Unite del dicembre 2022, relativa al riconoscimento dei bambini nati tramite gestazione per altri. Tema sul quale oggi è arrivata anche un’importante sentenza del tribunale di Pesaro, che per la prima volta dopo l’approvazione del reato universale ha dato il via libera all’adozione di un bimbo nato da maternità surrogata per due papà.

Molto diverso è il caso dei bimbi nati da due donne tramite fecondazione eterologa, situazione nella quale la Cassazione indica dal 2020 lo strumento dell’adozione come unica possibilità per la madre intenzionale. Ora quell’indirizzo è superato: come spiega l’avvocato Vincenzo Miri, presidente della rete Rete Lenford – Avvocatura per i diritti LGBTI+, si è «restituita uguaglianza a tutte le famiglie», eliminando «una situazione giurisprudenziale di intollerabile caos, che angosciava troppe famiglie, colpevoli soltanto di essere tali».

Ad esultare è anche la leader dem Elly Schlein, che accoglie la sentenza come «una sconfitta politica pesante per tutti coloro che hanno fatto della discriminazione una bandiera e una crociata sulla pelle dei bambini». Mentre per la ministra della Famiglia Eugenia Roccella «cancellare per scelta dalla vita dei bambini il papà o la mamma, che nessuna tecnica riproduttiva potrà mai eliminare, resta un mutamento antropologico che non potremo mai considerare un progresso sulla via dei diritti».