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Il foto racconto a un anno dalla strage di Cutro, dove 94 migranti, partiti dalla Turchia, persero la vita nelle acque calabresi. Momenti di preghiera e una fiaccolata per non dimenticare una tragedia immane che fece il giro del mondo
La tragedia di Cutro si poteva evitare. Sembra esserne convinto anche il gup del Tribunale di Crotone che, a oltre due anni e mezzo dalla strage in cui persero la vita più di cento persone, ha disposto il rinvio a giudizio di sei tra ufficiali e sottufficiali della Guardia di Finanza e della Guardia costiera. Secondo la procura, sarebbero responsabili di una catena di errori, omissioni e sottovalutazioni che portarono alla morte di migranti che potevano essere salvati. Il processo inizierà il 14 gennaio 2026.
A comparire davanti ai giudici saranno Giuseppe Grillo, capo turno del Reparto operativo aeronavale di Vibo Valentia; Alberto Lippolis, comandante del Roan; Antonino Lopresti, ufficiale in comando tattico; Nicolino Vardaro, comandante del Gruppo aeronavale di Taranto; Francesca Perfido, ufficiale di ispezione a Roma; e Nicola Nania, in servizio nel comando regionale di Reggio Calabria la notte del naufragio. Le accuse sono, a vario titolo, di naufragio colposo e omicidio colposo plurimo, per le morti avvenute sulla costa crotonese il 26 febbraio 2023.
Tra le parti civili ammesse figurano i familiari delle vittime e i superstiti, rappresentati dagli avvocati Enrico Calabrese e Francesco Verri.
Immediato il commento del ministro dei Trasporti Matteo Salvini. «Una sola parola: vergogna. Processare sei militari, che ogni giorno rischiano la vita per salvare altre vite. Vergogna», ha scritto su X.
Per il pm Pasquale Festa e il procuratore Giuseppe Capoccia, i sei indagati avevano «tutti e indistintamente il prioritario, fondamentale e ineludibile obbligo di salvaguardare la vita in mare». Con la Guardia di Finanza che aveva l’obbligo di comunicare (e la Capitaneria di Porto di acquisire) «tutte le informazioni idonee ad incidere sulla valutazione dello scenario operativo». Cosa che non è avvenuta, causando una delle peggiori stragi che il Mediterraneo ricordi.
Stando a quanto ricostruito dalle indagini, Frontex aveva segnalato, il 25 febbraio, la presenza di un natante «verosimilmente adibito al trasporto di migranti clandestini», diretto verso le coste calabresi e intercettato a circa 38 miglia nautiche da Le Castella, in condizioni di «buona galleggiabilità». Il Comando generale della Guardia Costiera qualificò l’intervento come operazione di polizia, attribuendo la competenza al Reparto operativo navale delle Fiamme Gialle di Vibo Valentia.
Secondo la procura, quel reparto avrebbe dovuto «effettuare il monitoraggio occulto del target in avvicinamento, per poi intervenire direttamente alle 12 miglia», come previsto da decreti e accordi, che indicano la salvaguardia delle vite come priorità assoluta.
La Guardia Costiera aveva dato la disponibilità a impiegare mezzi «certamente operativi e che potevano navigare senza alcuna difficoltà». Ma per «grave negligenza, imprudenza, imperizia, in violazione del regolamento Ue 656/2014» e delle norme tutto ciò non è avvenuto.
A ciascuno degli indagati viene contestato uno specifico comportamento, che, legato agli altri o alle rispettive omissioni, avrebbe portato alla tragedia. Nello specifico, Antonino Lopresti, una volta ricevuta la segnalazione da Frontex, avrebbe inviato in mare un’unità non idonea alla navigazione data la presenza di mare forza 4 e vento da sud forza 7, con previsioni in peggioramento – circostanza, sottolinea la procura, della quale era perfettamente conscio. Ma non solo: pur allertando Reggio Calabria per un eventuale supporto, non si sarebbe assicurato che la Capitaneria fosse informata sulle condizioni meteo, ignorando anche le offerte di aiuto della Guardia Costiera, sebbene la vedetta fosse già rientrata in porto.
La nave non è più stata monitorata e Lopresti avrebbe atteso «inerte» che fosse Vardaro a ordinare l’uscita del Barbarisi – cosa che avvenne solo alle 2.05, due ore dopo, all’ultimo momento utile per intercettare il caicco in prossimità della costa, anziché all’ingresso delle acque territoriali. Nel frattempo, Alberto Lippolis, comandante del Roan, non ha avocato l’operazione, pur avendone i poteri, e nessuno avrebbe comunicato alla Capitaneria di Reggio Calabria le reali difficoltà di navigazione: «Diciamo che per il momento è un’attività di polizia che gestiamo», venne riferito. Così facendo, si sono celate – secondo la procura – informazioni cruciali che – se note – avrebbero dovuto comportare l’attivazione del piano Sar.
Il pattugliatore Barbarisi, scrive la procura, partì troppo tardi per una «precisa e negligente scelta operativa» e i comandi centrali non approfondirono le criticità, contribuendo così alla tragedia.
Se qualcuno avesse agito come dovuto, la Guardia di Finanza avrebbe impiegato mezzi adatti alla navigazione, intercettando il caicco e accertando che a bordo si trovavano almeno 180 persone, tra cui numerosi minori e neonati. L’attivazione tempestiva del piano Sar scenario Detresfa avrebbe potuto impedire che il caicco si schiantasse sulla secca a Steccato di Cutro. Così, invece, l’imbarcazione si spezzò a pochi metri dalla riva, provocando l’annegamento di oltre 100 persone. Morti che nessuno avrebbe mai dovuto piangere.
La ricostruzione della strage
Il caicco Summer Love si è schiantato su una secca a pochi metri dalla costa, nella notte tra il 25 e il 26 febbraio 2023. Secondo la ricostruzione, Frontex, nella tarda serata di sabato, aveva avvisato il Centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo della presenza del barcone a 40 miglia dalle coste calabresi.
L’agenzia europea parlava di un uomo solo sul ponte, ma segnalava anche una significativa risposta termica dai boccaporti aperti a prua e una telefonata satellitare alla Turchia: segnali chiari che si trattava di un’imbarcazione di migranti. La Guardia di Finanza ricevette la comunicazione e inviò due motovedette in mare, ma come operazione di polizia, non finalizzata al salvataggio. L’intervento fu interrotto a causa delle condizioni meteo avverse. Nessuno aprì un evento SAR, che avrebbe consentito di attivare un’operazione di soccorso.
Una volta rientrate in porto le motovedette, la Finanza contattò via radio la Capitaneria di Porto di Reggio Calabria, ma anche in quel caso non furono segnalate criticità sufficienti a far scattare un’emergenza. Solo alle 4.10 del mattino arrivò al 112 una telefonata in inglese da un numero internazionale.
A quel punto i Carabinieri si precipitarono in spiaggia, dove già affioravano i corpi. Il vicebrigadiere Gianrocco Tievoli e il carabiniere Gioacchino Fazio si tuffarono in acqua, riuscendo a salvare cinque migranti, ma tutto attorno c’erano corpi senza vita. Compreso quello di un neonato di sei mesi.