Nella sentenza che ha assolto il ministro Matteo Salvini dall’accusa di sequestro di persona per aver impedito per giorni lo sbarco dei migranti a bordo della Open Arms, il Tribunale avrebbe ricostruito in maniera corretta i fatti, applicando, però, in maniera erronea le norme, con una motivazione considerata insufficiente. È per questo motivo che il procuratore Maurizio De Maria e i pm Giorgia Righi e Marzia Sabella hanno impugnato con ricorso immediato per Cassazione la sentenza con la quale il 20 dicembre scorso l’allora ministro dell’Interno è stato scagionato dalle accuse.

Per fondare il proprio ricorso, i magistrati partono da una pronuncia successiva alla sentenza Open Arms, quella delle Sezioni Unite Civili del 18 febbraio, che ha stabilito un risarcimento per i migranti trattenuti per giorni a bordo della Diciotti. Anche in quel caso, infatti, il ministero non aveva fornito un Pos (un luogo sicuro in cui sbarcare), decisione che non fu sanzionata dal giudice penale. Per il Palazzaccio si trattò, però, di una «arbitraria privazione della libertà personale» e la decisione di merito che scagionò il ministero «priva di una vera e propria motivazione». Per la procura di Palermo, nel caso Open Arms sarebbe avvenuta la stessa cosa.

La prima violazione riguarderebbe le norme sovranazionali sul soccorso in mare. Secondo il Tribunale, «l’Italia non poteva essere qualificata né Stato di bandiera né Stato di primo contatto né Stato competente sulla regione Sar in cui avvennero i soccorsi». E il principio di solidarietà con gli altri Paesi non intervenuti consisterebbe «in mere “raccomandazioni”», pertanto «incompatibili con il principio di tassatività di cui all’articolo 25 della Costituzione».

Un ragionamento che, secondo la procura, non regge: le leggi del mare non prevedono e non possono prevedere «vuoti di tutela». Ciò, in primis, perché lo stesso sistema si fonda sul «generale obbligo di soccorso, funzionale alla salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo», obbligo immediatamente cogente per gli Stati. Le tre Convenzioni sul soccorso in mare (Solas, Sar e Unclos) hanno del resto introdotto «il dovere di solidarietà e sussidiarietà tra gli Stati che, pertanto, sono tenuti ad intervenire in caso di inerzia, rifiuto o assenza degli altri». Per i giudici, nemmeno dopo l’ingresso della nave in acque italiane sarebbe sorto un obbligo per lo Stato, sia perché le difficoltà della nave non erano inquadrabili in un nuovo evento Sar, sia perché non c’erano rischi di affondamento.

In realtà, afferma la procura, diverse norme avrebbero imposto l’obbligo di disporre lo sbarco. In primo luogo perché è solo quello il momento in cui, per legge, l’evento Sar può dirsi concluso, e poi perché in quanto firmataria delle Convenzioni, l’Italia «aveva il preciso dovere» di intervenire per consentire «alle persone soccorse di essere prontamente trasferite in un luogo sicuro». Ma a prescindere dalla normativa internazionale, a bordo della nave c’erano «migranti non ancora compiutamente identificati» e potenzialmente titolari del diritto di asilo. Lo sbarco andava autorizzato anche date le condizioni della nave: è lo stesso Tribunale che ha assolto a parlare di «difficilissima situazione a bordo», di «equipaggio e naufraghi stremati», «sovraffollamento» e di alto «livello di sofferenza psichica dei migranti», che sono arrivati a gettarsi in mare, nonché di «precarie condizioni igieniche». A fronte «di una crescente e innegabile compromissione in atto dei diritti fondamentali», dunque, «lo sbarco doveva essere autorizzato».

Altra violazione, secondo il ricorso, è quella delle norme a tutela della libertà personale. Salvini, secondo la sentenza, non aveva alcun obbligo di rilascio del Pos. Ma i giudici, secondo la procura, avrebbero dovuto valutare altro, ovvero se «potesse considerarsi comunque ragionevole il forzato trattenimento a bordo della nave», anche alla luce delle condizioni. In sostanza, la motivazione del Tribunale non affronta pienamente il profilo centrale: i giudici avrebbero ignorato che la normativa internazionale non autorizzava il ministro «a trattenere i naufraghi sul natante, non essendo tale eventualità prevista dall’art. 5 Cedu né dalle altre norme sovranazionali».

L’ultima violazione riguarda le norme sulla tutela dei minori stranieri non accompagnati, equiparati, in base alla legge Zampa, ai «minori di cittadinanza italiana e dell’Unione europea». La procura accusa il Tribunale di avere “svuotato di efficacia” la normativa nazionale e internazionale che impone la loro immediata protezione, sostenendo che lo sbarco potesse essere ritardato per motivi tecnici o burocratici. Ma in nessun caso – scrivono i pm – il diritto di un minore può essere subordinato a liste nominative, identificazioni formali o accordi tra uffici. Lo sbarco doveva avvenire dal 14 agosto, non giorni dopo.

Sul piano politico, il ricorso ha suscitato immediate reazioni. Matteo Salvini ha ribadito la correttezza della sua condotta: «Difendere i confini non è un reato. Il Tribunale mi ha assolto con motivazioni puntuali. Qualcuno non si rassegna, ma non ho nulla da temere». La sua avvocata, Giulia Bongiorno, ha definito la sentenza «completa e ineccepibile». «Fonti» della difesa hanno poi definito «erroneo e fuorviante sostenere che la sentenza di assoluzione» si sia limitata «a esprimere considerazioni in diritto. La tesi accusatoria è stata bocciata anche nel merito».

A difendere il ministro la premier Giorgia Meloni, che ha parlato di un «accanimento surreale» e criticato l’uso delle risorse della giustizia per un processo chiuso con assoluzione piena. Il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha espresso dubbi sull’impugnazione: le sentenze di assoluzione, «come in tutti i Paesi civili», non vanno impugnate, ha detto, «rimedieremo». Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha aggiunto: «Mi sento moralmente coinvolto anche io». Dal lato opposto, il fondatore di Open Arms, Oscar Camps, ha commentato: «I fatti sono stati chiariti in primo grado. Attendiamo di leggere il ricorso, ma abbiamo fiducia nella procura di Palermo».