«L’abuso da conflitto di interessi, che tutti ritenevano abrogato, sale di livello: ora è corruzione», afferma con un velo d’ironia l’avvocato aretino Luca Fanfani, autore di numerosi saggi in materia di reati contro la Pa, a proposito di quanto sta accadendo a Milano nell'inchiesta sull'urbanistica che rischia di travolgere il sindaco Beppe Sala.

La vicenda giudiziaria che agita in queste ore il sonno della politica e dell’imprenditoria edilizia milanese rischia infatti – paradossalmente – di dare ragione, almeno in parte, a quanti avevano denunciato che l’abrogazione dell’articolo 323 avesse lasciato sguarnito, sul piano penale, proprio il versante dell’abuso "da omessa astensione" in presenza di un conflitto di interessi.

Era tra i passaggi più discussi ed evocati fra i giuristi e nelle ordinanze dei giudici rimettenti: ben quattordici le questioni di legittimità costituzionale sollevate contro la legge 9 agosto 2024, numero 114, che ha cancellato il reato di abuso d’ufficio.

La Corte costituzionale, com’è noto, ha respinto ogni censura, prendendo atto che non spetta a lei valutare «la complessiva efficacia del sistema di prevenzione e contrasto alle condotte abusive», perché i vuoti di tutela penale «attengono esclusivamente alla responsabilità politica del legislatore». Con l'articolo 323 l’ordinamento puniva, fra l’altro, il pubblico ufficiale che, «omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio», procurava «a sé un ingiusto vantaggio patrimoniale». Dopo l’abrogazione, non sembravano residuare margini concreti per sanzionare penalmente la violazione del dovere di astensione in presenza di un confitto di interesse.

Già pochi mesi dopo l’abrogazione, la Suprema Corte era intervenuta cassando l’accusa, non essendo profili penalmente rilevanti, nei confronti di un assessore al bilancio che, senza astenersi, aveva deliberato in favore della casa di cura dove esercitava la professione medica. L'omessa astensione – anche se foriera di vantaggi economici – è uscita dal radar penale come voluto dal legislatore?

«Forse no», sottolinea l'avvocato Fanfani. «A giudicare - aggiunge - da quanto emerge in queste ore sulla indagine milanese, sembra quasi di assistere a un ritorno in grande stile». L’accusa ruota, per larga parte, attorno a un presidente di Commissione paesaggio che – si sostiene – avrebbe scientemente omesso di astenersi dall’esaminare progetti di società con cui intratteneva rapporti professionali, indirizzando la commissione verso pareri favorevoli. In cambio? La prosecuzione – si legge nella richiesta della Procura – degli stessi rapporti economici. E tuttavia, l’abuso d’ufficio non è più reato, dunque nulla? Nient’affatto, si sale di livello, secondo la Procura è corruzione, articolo 319 c.p. La tesi accusatoria è netta: la violazione del dovere di astensione sarebbe avvenuta «in attuazione di un accordo corruttivo».

«Già tra le righe delle imputazioni si intravede un nodo interpretativo tutt’altro che semplice: quei "pregressi rapporti professionali" possono fondare, ad un tempo, la prova della violazione dell’obbligo di astensione dimostrare (oggi penalmente irrilevante), della presenza di un interesse economico (altrettanto di per sé irrilevante), ma soprattutto, dell’esistenza di un accordo corruttivo?», si domanda l'avvocato Fanfani. «Perché non ogni conflitto di interessi, per quanto palese e lucrativo, è corruzione. Per definizione, ogni conflitto di interessi origina da pregressi rapporti e ha spesso un fine economico. Era questo – precisamente – il campo d’azione dell’articolo 323», puntualizza ancora Fanfani.

Prescindendo dalla recente cronaca giudiziaria che impone quantomeno l’attesa della prima decisione del gip per ulteriori osservazioni, un punto pare essere chiaro: quel conflitto d’interessi "lucrativo" che è uscito dalla porta principale assieme alla fattispecie di abuso, non può come tale riproporsi, in questa, come in inchieste future, con una nuova etichetta. L’accordo corruttivo, se c’è, deve avere una sua autonoma dignità probatoria, non essere frutto di automatismi né di scorciatoie.

«Mi piace citare un aneddoto. Nei giorni che precedettero l’abrogazione dell’abuso d’ufficio, si racconta che più di un avvocato si sia sentito chiedere – in tono provocatorio – proprio da chi rappresenta l’accusa: "Ma perché la vostra categoria è favorevole all’abolizione dell’abuso d’ufficio? Davvero preferite che ai vostri clienti si contesti direttamente la corruzione?», ricorda Fanfani. Ecco, oggi il dubbio viene: era davvero solo una provocazione?