La Procura di Palermo ha impugnato la sentenza di assoluzione per il vicepremier Matteo Salvini, assolto lo scorso dicembre dall’accusa di sequestro di persone e rifiuto di atti d’ufficio nel processo Open Arms. I magistrati hanno depositato il ricorso in Corte di Cassazione contro la sentenza. Con questo tipo di ricorso, direttamente alla Cassazione, si può evitare il giudizio di appello.

La Procura di Palermo ha deciso di fare il "ricorso per saltum" per evitare il giudizio di appello e ottenere direttamente una pronuncia della Suprema Corte, visto che i fatti storici sono accertati. I pm del pool coordinato dal procuratore aggiunto Marzia Sabella ritengono inutile un altro giudizio di merito sui fatti, ma chiedono una pronuncia sul diritto. “Il Tribunale di Palermo è incorso nel medesimo 'errore di prospettiva' riscontrato nel similare caso della motonave Diciotti”, scrive la Procura di Palermo nel ricorso. "Le sezioni unite della Cassazione nell'ordinanza citata- scrivono i pm - i giudici hanno sottolineato che i giudici di merito si erano limitati al vaglio della normativa sugli eventi Sar, quando erano tuttavia i connessi profili legati alla violazione della libertà personale dei migranti a segnare più propriamente la prospettiva nella quale occorre valutare la fattispecie”. 

Secondo i giudici del Tribunale che a dicembre scorso avevano assolto il ministro Salvini, l'assegnazione del Pos (place of safety) non spettava all'Italia, e di conseguenza a Matteo Salvini, Open Arms sbagliò a restare in ''ostinata attesa'' di un porto sicuro nel nostro Paese, per questo i giudici hanno assolto il leader della Lega, non senza intervenire su alcuni argomenti: il divieto di ingresso in acque italiane era illegittimo, strumentale e basato su ''mere congetture''. Non solo, la logica del concedere il Pos solo dopo aver ottenuto dagli altri paesi europei un accordo per la redistribuzione adottata dal governo Conte Uno e quindi anche da Salvini, non si basa su nessuna normativa e per questo ''quanto meno opinabile''.

“Ho fatto più di trenta udienze, il Tribunale mi ha assolto perché il fatto non sussiste riconoscendo che difendere i confini non è un reato. Evidentemente qualcuno non si rassegna, andiamo avanti: non mi preoccupo”, ha commentato il vicepremier e ministro delle Infrastrutture e trasporti. “Nel rispetto profondo che si può avere per quelli che sono tutti i passaggi giudiziari, compresa la legittima decisione di un ufficio giudiziario importante come la Procura di Palermo, l'impugnare un'assoluzione che pure era stata emanata, e leggendola in maniera molto forte con affermazione di principi molto netti, mi dispiace prima di tutto umanamente, personalmente e anche professionalmente”, ha detto il ministro dell'Interno, Matteo Piantedosi, intervenendo a Roma all'evento di Fratelli d'Italia 'Parlate di mafia'. Il ministro ha ricordato come nel periodo dei fatti contestati, lui fosse capo di gabinetto del ministro Salvini ed entrò come coindagato nell'inchiesta, prima che la sua posizione venisse stralciata dall'autorità giudiziaria. “Mi dispiace per motivi umani e professionali - ha aggiunto Piantedosi -, e anche per motivi di valutazione di diritto”, “sono convinto che anche in questo caso non potrà che portare anche in secondo grado o in Cassazione all'assoluzione e alla legittimità dell'azione”.

Sulla vicenda interviene anche la premier Giorgia Meloni, per la quale “È surreale questo accanimento, dopo un fallimentare processo di tre anni - a un ministro che voleva far rispettare la legge - concluso con un'assoluzione piena. Mi chiedo cosa pensino gli italiani di tutte queste energie e risorse spese così, mentre migliaia di cittadini onesti attendono giustizia”. Un post sui social al quale risponde subito Salvini, per ringraziare la premier e ribadire che andrà avanti “a testa alta” e “senza paura”. 

“Niente impugnazione contro le sentenze di assoluzione, come in tutti i paesi civili. Altrimenti finiamo a ciò che è avvenuto col caso Garlasco. Al di là delle implicazioni politiche di questa scelta inusuale, si pone il problema tecnico. Come potrebbe un domani intervenire una sentenza di condanna al di là di ogni ragionevole dubbio, quando dopo tre anni di udienza un giudice ha dubitato e ha assolto? La lentezza della nostra giustizia dipende anche dall'incapacità di molti magistrati di opporsi all'evidenza. Rimedieremo”, commenta il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, a margine del convegno di FdI "Parlate di mafia". “Se la fiducia nella giustizia è crollata – prosegue il Guardasigilli - è anche perché alcuni magistrati trascinano processi eterni senza pensare alle conseguenze devastanti che provocano nella vita delle persone. Solo quando il macigno ti cade addosso, come nel caso del sindaco Sala, ci si rende conto delle criticità del nostro sistema. Per questo lo cambieremo”, ha concluso.