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MARCELLO VIOLA MAGISTRATO
Aveva proprio sbagliato la previsione, il procuratore di Milano Francesco Greco, quando aveva agitato lo spauracchio “normalizzazione” e aveva previsto che i suoi uffici si sarebbero ridotti a «occuparsi di inchieste di cronaca locale». Erano i giorni in cui aveva dovuto passare le consegne a Marcello Viola. Passaggio solo virtuale, era il 2022, il procuratore era a letto con il covid e lo aveva rappresentato il predecessore Edmondo Bruti Liberati. Ma non c’era differenza. Perché tutti e due avevano svolto la carriera a Milano, proprio come gli atri che erano venuti prima, Gerardo D’Ambrosio e Saverio Borrelli.
Tutti dell’area di Magistratura Democratica, era la mitica procura della repubblica di Milano, quella di Mani Pulite. Ma quel giorno era arrivato il “papa straniero” Marcello Viola, siciliano e appartenente alla corrente sindacale di “Magistratura Indipendente”. Non succedeva dal 1972, dai tempi di un altro siciliano, Giuseppe Micale.
Ma che cosa sta capitando, a tre anni da quei giorni? Altro che normalizzazione degli uffici e inchiestucole su fatterelli locali! Colui che aveva presentato se stesso come “il mulo”, sta scalciando non male “l’aquila e il leone”, simboli dei predecessori, che non sarebbero, secondo quel che aveva detto il procuratore Viola quel giorno, gli animali simbolo del lavoro del magistrato. Ogni riferimento, eccetera. E il cambiamento c’è, ed è visibile.
Ci pensano quotidiani non amici del sindaco Sala come il Fatto quotidiano, a ricordare i tanti anni in cui la Procura non disturbò le amministrazioni di sinistra e lo stesso primo cittadino, sia per suoi fatti personali che, per esempio, per una serie di anomalie procedurali ai tempi di Expo, che finirono con avocazioni da parte della procura generale e infine con le prescrizioni. Si, l’aria è proprio cambiata. Non ci sono più documenti importanti dimenticati in qualche cassaforte della procura mentre si stavano svolgendo gare di cui in sussurri e grida si conoscevano i nomi dei vincitori. Non c’è un presidente del consiglio che viene a ringraziare il procuratore per la sua “sensibilità”, né differenze di trattamenti tra indagati politici. Ne sa qualcosa l’onorevole Mario Mantovani, sbattuto in galera per comportamenti molto simili a quelli del primo cittadino, e poi assolto.
L’aria è cambiata, ma non è detto che aver messo i denti dentro lo sviluppo dell’unica città italiana in grado di competere con Parigi, Londra o Francoforte, non rischi di avvelenarlo, l’ossigeno. L’equilibrio costruito in quindici pacifici anni di giunte di sinistra e procura sempre omogenea e “sensibile”, si è indubbiamente rotto. Ma la città ha galoppato, e non solo con i suoi grattacieli. Basterebbe dare un’occhiata al nuovo Policlinico con il Padiglione Sforza, sbucato improvvisamente in questi giorni fuori, a tempo di record, dalle impalcature della ristrutturazione. Per ora, e speriamo per sempre, senza informazioni di garanzia. Merito di chi? Di tanti, la Fondazione medesima, e poi la Regione Lombardia, il Ministero della salute, e gli studi di architettura milanesi che sono l’orgoglio in Italia e a volte nel mondo.
Può un papa straniero con i suoi uffici di pm milanesi vedere e apprezzare tutto ciò? Certo che può, ma forse prima bisognerà tessere un filo. Non rosso, ma neanche azzurro o di altri colori. Certo, aveva forse esagerato Gabriele Albertini, con il suo gruppo “Alì babà”, che serviva a scacciare il ricordo dei “40 ladroni”. Ma andava capito. Silvio Berlusconi lo aveva scelto come candidato in quanto imprenditore tosto che sapeva anche fronteggiare i sindacati. Ma Milano, la politica e gli stessi uomini d’azienda portavano sulla pelle le ferite della finta rivoluzione di Mani Pulite, un vero assalto ai partiti per via giudiziaria. E lui, astuto imprenditore, si era fatto “forcaiolo”, alleandosi con il “giustiziere” Saverio Borrelli, secondo il principio un po’ da avventuriero che se il nemico non puoi conquistarlo ( o comprarlo, secondo una versione più malandrina) puoi fartelo alleato. Così è nato lo sviluppo urbanistico di Milano, con il permesso della procura, inutile nascondercelo.
Il problema di oggi, Viola non sarà d’accordo, ma è soprattutto politico. E anche di principi giuridici. Prima domanda: esistono questi colossali, perché si parla di grosse cifre di denaro, conflitti di interesse che vedono protagonisti alcuni architetti? Teoricamente si, se è la stessa persona quella che con una mano svolge il lavoro di consulente presso gli immobiliarialisti e con l’altra dà un parere favorevole alle loro richieste. Ma perché il conflitto si trasformi in corruzione occorre la qualifica di pubblico ufficiale e qui la questione si ingarbuglia. Perché comunque tutto è fatto alla luce del sole. Tanto che, nell’informazione di garanzia nei confronti del sindaco, la procura lo rimprovera per aver rinnovato l’incarico al presidente della commissione comunale al paesaggio, nonostante fosse a conoscenza del suo doppio ruolo e di conseguenza del suo conflitto di interessi. Non ci sono, per quel che se ne sa, mazzette date sottobanco o esplicite tangenti, in questa inchiesta.
Possiamo dire che un Greco o un Borrelli forse non l’avrebbero neanche aperta, perché avrebbero dato una lettura diversa ai fatti? Probabilmente potremmo dirlo. Tutta la vicenda della legge “salva Milano”, prima promossa e poi annegata in Senato, ne è dimostrazione. Perché avrebbe semplificato, non solo per Milano, procedure e burocrazie, dando legittimità a una disinvoltura che, se è servita ad attrarre capitali con il quasi azzeramento degli oneri di urbanizzazione, ha anche creato danni che sono cresciuti in parallelo ai grattacieli. Per esempio per la scarsa attenzione agli aspetti sociali e l’espulsione di fatto dalla città di qualche centinaio di migliaia di persone.
Il ceto medio di Milano non esiste più, quanto meno nel centro della città. Un prezzo molto alto, non compensato dall’esistenza di 31 hotel a cinque stelle sempre affollati. Come ogni buco in affitto, perché Milano da qualche anno, nonostante l’ intervallo dovuto all’epidemia, è diventata città turistica a tutti gli effetti, niente da invidiare a Roma, Venezia o Firenze. Capitale della moda e del design, con la Scala e l’Ultima Cena da visitare, e poi le università più prestigiose e la Borsa e l’editoria. Affascinante per il turismo d’élite, ma respingente per la gente normale, che in gran parte detesta le piste ciclabili disegnate nel cemento, le finte aiuole, le strade sempre più strette e i marciapiedi larghi e deserti. L’illusione che si lasci a casa l’auto ha prodotto solo più traffico e maggiore inquinamento.
Ma Milano è scintillante, anche quando è colpita al cuore. Il rischio maggiore è che, mentre la premier Giorgia Meloni mostra rispetto per il lavoro di un sindaco che non le è affine, sia lo stesso Beppe Sala a non trovare la capacità di trasformare in alta politica la soluzione del caso. Prima di tutto, con i suoi legali, dovrebbe (e dovremmo farlo anche noi giornalisti) porre alla procura di Milano un semplice quesito. Poiché la Costituzione impone che la responsabilità penale sia personale, che cosa si intende quando si afferma che siamo davanti a una “incontrollata espansione edilizia”? L’indagine sta cercando di individuare i singoli reati attribuiti a singoli cittadini, o vuol combattere un fenomeno sociale considerandolo criminale?
Nel primo caso saremmo davanti a un’attività di giustizia, nel secondo di politica. E allora saremmo davvero ripiombati all’indietro fino ai tempi di Mani Pulite. E allora vorrebbe dire che questo nuovo papa non è poi così straniero. Ma probabilmente non è così, e porre questo problema vorrebbe dire che si è ripreso il filo della politica. Non per allearsi con il “nemico”, ma per rimettere ogni soggetto al proprio posto, senza ambiguità e ombre, prima che i conflitti d’interesse si trasformino in grande Conflitto tra giustizia e politica. Abbiamo già dato, tutti quanti, e non ne sentiamo il bisogno.