«Mamma ti confido una cosa che però non devi dire a nessuno. Una volta, prima che tu e papà vi lasciavate, quando tu andavi lavoro e papà mi veniva a prendere all’asilo, io e papà facevamo un giochino…». Il seguito del racconto è molto dettagliato. Ed è il racconto di una violenza sessuale, subita da un bambino dell’asilo - a suo dire - da parte del padre. Il racconto è contenuto in una denuncia (poi archiviata) del settembre 2013, sporta dalla madre del ragazzino, il piccolo A., ai Carabinieri di Montecchio Emilia. E risale a tre anni prima che il bambino entrasse in contatto con gli imputati del processo “Angeli e Demoni”, che secondo l’accusa avrebbero, però, provocato «una malattia nella mente consistente in una disfunzione psicologica e relazionale ovvero una alterazione nel normale sviluppo della personalità in costruzione idonea a determinare disfunzioni psichiche future correlate alla mancanza della figura paterna di riferimento, nonché alla ingenerata ed erronea convinzione di essere vittima di abusi sessuali da parte di quest’ultimo». A raccontare gli abusi era stata, però, la madre, che in quella denuncia ai carabinieri aveva anche parlato di «minacce telefoniche» da parte dell’ex marito, che non pagava il mantenimento, dichiarando di non essere «assolutamente» intenzionata a far rivedere i figli al padre, «anche perché alla luce di quanto mi ha confidato mio figlio non sono tranquilla».

La confidenza era arrivata due mesi dopo l’ultimo colloquio telefonico col padre, quando A. aveva intuito di una sua prossima visita, manifestando malessere fisico. Ad accompagnare la donna a sporgere denuncia era stata sì una delle imputate - l’assistente sociale Sara Gibertini, che non è accusata per questo episodio – ma che non aveva mai incontrato il bambino. Dopo la denuncia, il Tribunale dei minori aveva disposto il divieto di avvicinamento del padre ai figli, che poteva però incontrarli in modalità protetta, ma solo se i figli lo richiedevano e nel caso in cui gli incontri non risultassero disturbanti. Sempre prima dell’inizio della psicoterapia e sempre prima degli arresti, nel 2014, una psicologa dell’Ausl di Reggio Emilia aveva scritto al servizio sociale, riportando le preoccupazioni della donna in relazione ad A., che «sta malissimo», risultando aggressivo con la nonna e la sorellina, «perché afferma di non riuscire a togliere dalla testa i ricordi di ciò che il padre gli ha fatto».

La madre di A. è stata sentita lunedì come teste nel processo sui presunti affidi illeciti in Val d’Enza. Una testimonianza confusa e contraddittoria, la sua, durante la quale la donna ha comunque confermato che gli incontri con il padre, sia prima della denuncia, sia dopo gli arresti dell’operazione “Angeli e Demoni”, non sono avvenuti: l’uomo, infatti, ha più volte disertato gli appuntamenti, situazione che la madre ha definito di «abbandono». La motivazione del mancato incontro del padre è stata la presentazione (dopo il blitz del 2019) di un certificato medico per giustificare la propria assenza. La difesa della responsabile dei servizi sociali Federica Anghinolfi - Rossella Ognibene e Oliviero Mazza - ha letto in aula una mail della donna, agli atti del servizio sociale subentrato dopo gli arresti, nella quale la madre di A., ricollegandosi alla delusione provata dai figli per l’assenza del padre, manifesta la propria rabbia nei confronti dell’ex marito. «Dopo quello che è successo - scriveva la madre di A. - io non ho piacere a parlarti, perché sto raccogliendo i pianti e la disperazione».

La donna ha dichiarato che, prima degli arresti, aveva avuto una buona impressione di Nadia Bolognini, la psicoterapeuta che ha seguito A. dal 2016 fino alla fine del dicembre 2018, difesa dagli avvocati Francesca Guazzi e Luca Bauccio. In merito alla terapia, la donna ha confuso l’Emdr con l’ipnosi - dato che il bambino chiudeva gli occhi durante la seduta, che si svolgeva picchiettando le dita sulle ginocchia di A. -, tecnica definita «invasiva», pur senza spiegare perché, e ha dichiarato di aver messo in dubbio gli abusi sul figlio solo dopo l’indagine “Angeli e Demoni”, nonostante l’intervento dei servizi sociali e della psicoterapia siano successivi alla sua denuncia. E le confidenze del figlio, a suo dire, sarebbero state un modo del bambino per difenderla dai maltrattamenti del padre. La denuncia è arrivata, in ogni caso, nel periodo in cui a seguire il bambino era l’Asl, mai tirata in ballo dalla procura per la presunta immutazione dei ricordi di A.. Ma non solo: secondo l’accusa, sarebbe stata Bolognini ad indicare ad A. «falsamente» che il padre si trovava in prigione, circostanza smentita dalle intercettazioni, nelle quali è la madre, in presenza del figlio, ad informare la psicoterapeuta che l’ex marito «per quel che so io, adesso è in carcere» in Calabria. Era inoltre A. a contattare Bolognini prima delle sedute, anticipando gli argomenti che voleva trattare.

Ma l’udienza di lunedì ha riguardato anche il caso della piccola K. - la bambina lasciata da sola a casa dai genitori e che ha chiamato i carabinieri per chiedere aiuto, per la quale in aula sono stati ascoltati due consulenti tecnici nominati dal Tribunale di Reggio Emilia. I due avevano ricevuto l’incarico di valutare la capacità genitoriale dei genitori di K. a febbraio 2019, ma il quesito è mutato dopo gli arresti, dal momento che il ctu Vittorangeli, dalle cronache dei fatti, aveva intuito che uno dei casi era proprio quello di K., informando il Tribunale. Da qui la decisione di non tener conto del pregresso e, dunque, del periodo pre allontanamento. Il consulente incontrò i genitori della ragazza poche volte, separatamente. E durante questi incontri, come dimostrato dalla difesa di Francesco Monopoli (avvocati Giuseppe Sambataro e Nicola Canestrini), i genitori hanno taciuto diverse circostanze al consulente, come le denunce per maltrattamenti fatte dalla madre nei confronti dell’ex marito, l’intervento dei carabinieri, in più occasioni, proprio per l’eccessiva conflittualità della coppia, le accuse di prostituzione del marito alla donna (al punto da arrivare a ipotizzare che K. l’avesse vista in atteggiamenti intimi con altri uomini), l’arresto del padre per rapina a mano armata aggravata dalla violenza sulla persona offesa e la minaccia con coltello ai danni di una barista; raccontando anche circostanze non vere, come la frequentazione, da parte del padre di K., del corso di laurea in ingegneria, nonostante il percorso di studi dell’uomo si sia fermato alle scuole elementari, stando all’anagrafe del Comune di Bibbiano. Dopo la sua consulenza Vittorangeli ha evidenziato una capacità genitoriale «sufficiente», consigliando comunque il monitoraggio da parte dei servizi sociali anche dopo gli arresti. Ma le informazioni taciute, ha sottolineato il ctu a domanda dei difensori, avrebbero potuto anche influire sulla sua valutazione.

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Ad affiancare Vittorangeli, che non aveva competenze nella valutazione dei minori, la psicologa De Martino, che in aula ha invece confermato che K. si trovava bene con la coppia affidataria, difesa da Andrea Stefani e Valentina Oleari, con la quale avrebbe desiderato continuare a stare. Un desiderio irrealizzabile, dopo gli arresti, motivo per cui la ragazza, frustrata dai continui trasferimenti da una comunità all’altra, ha espresso il desiderio di tornare almeno dai genitori. De Martino non ha però visionato le registrazioni degli incontri protetti tra i genitori e K.: durante uno di questi il padre aveva riferito alla figlia che lei era stata portata via «perché qualcuno ti voleva e pagava per averti». Una ricostruzione del tutto personale - e non suffragata nemmeno dalle accuse -, che provocò turbamento nella ragazza, che si definì un oggetto. Dato che Vittorangeli - che invece ha visionato i video - ha dichiarato di non ricordare.