A dissipare i dubbi dei giudici d’appello di Bologna, che nella sentenza di assoluzione di Claudio Foti avevano lasciato uno spiraglio aperto per “salvare” l’abuso d’ufficio per gli imputati a processo a Reggio Emilia in ordinario, ci ha pensato Nadia Campani, responsabile ufficio piano dell’Unione. Inizialmente indagata, poi prosciolta, Campani questa mattina ha scelto di non avvalersi della facoltà di non rispondere, praticamente smantellando, in qualità di teste della procura nel processo “Angeli e Demoni”, quello che era stato definito «abuso d’ufficio acclarato» dai giudici che avevano assolto Foti, pur senza un approfondimento probatorio che riguardasse gli altri imputati.

Il fatto riguarda l’affidamento della psicoterapia sui minori, per l’accusa praticata nel centro pubblico La Cura senza passare da un bando, solo per favorire gli psicoterapeuti della onlus “Hansel & Gretel”. Ma gli atti raccontano un’altra verità: i difensori di Federica Anghinolfi - responsabile dei servizi sociali della Val d’Enza, difesa da Oliviero Mazza e Rossella Ognibene - hanno infatti depositato una delibera della giunta dell’Unione Val d’Enza, datata 6 maggio 2016, con la quale veniva approvato il progetto per realizzare il centro “La Cura” e veniva autorizzato il servizio sociale a «sperimentare presso appartamento in affitto (...) attività di psicoterapia qualificata per i minori vittime di violenza. Le spese sono a carico delle famiglie, in caso di famiglie affidatarie il servizio eroga un contributo più ampio per sostenere anche queste spese». Campani ha confermato la regolarità della procedura, partendo dalla ragione che aveva portato alla realizzazione della Cura, ovvero l’assenza, tra i professionisti dell’Asl, di psicologi specializzati per il trattamento del trauma dei minori vittime di abuso. Proprio per tale ragione, in pieno accordo tra Asl e Unione della Val d’Enza, si era deciso di avviare un progetto sperimentale. Inoltre, ha spiegato la teste, le modalità di pagamento erano conformi a normative regionali e prevedevano - oltre alla quota affido erogata agli affidatari - delle somme aggiuntive collegate a esigenze particolari del minore, tra le quali anche le cure sanitarie. Norme che sconfessano, dunque, la tesi dell’accusa, secondo la quale le spese per la psicoterapia erano “occultate” all’interno della quota affido. Basta infatti leggere quanto scritto al punto 5.2 della delibera di giunta regionale 1904 del 19 dicembre 2011 (“Direttiva in materia di affidamento familiare, accoglienza in comunità e sostegno alle responsabilità familiari”): «In caso di affidamento eterofamiliare è previsto un contributo economico di riferimento a carico dei Comuni (...). Per particolari situazioni del bambino (disabilità, disturbi significativi) va previsto un aumento. Nel caso di handicap gravissimi o di altre situazioni che richiedono intense attività di cura, va previsto un ulteriore aumento».

Ma non solo: Campani ha confermato che la Asl era totalmente a conoscenza di questa attività e partecipava al 50 per cento del pagamento delle spese di psicoterapia fornite dai terapeuti privati, tra i quali quelli di “Hansel & Gretel”, come Foti e Nadia Bolognini (difesa da Luca Bauccio e Francesca Guazzi). La loro attività avveniva nell’ambito di una coprogettazione che aveva al suo interno non solo l’arredo dei locali - per il quale erano stati stanziati 12mila euro “senza ulteriori costi” per tale aspetto -, ma anche l’attività di cura del minore, come chiarito dalla delibera di Giunta numero 45 del 2016, che sanciva ufficialmente la nascita della Cura, «con la collaborazione del Centro Studi Hansel e Gretel Onlus di Torino, per progettare attività ed interventi, soprattutto di sostegno psicologico, relativi a casi di maltrattamento o abuso sessuale di minori in carico al Servizio medesimo».

Stando alle dichiarazioni di Campani, dunque, tutti gli attori in gioco erano consapevoli della situazione (in particolare i sindaci dell’Unione), consapevolezza che farebbe venir meno anche un altro capo d’accusa, quello relativo all’induzione di falso nel bilancio dell’Unione. Nessun escamotage, dunque. «Per me la procedura era pienamente legittima e se non lo fosse stato o se non avessi pensato che lo fosse l’avrei denunciato», ha dichiarato Campani rispondendo ad una domanda di Giovanni Tarquini, difensore, insieme a Vittorio Manes, del sindaco di Bibbiano Andrea Carletti. Secondo l’accusa, il primo cittadino sarebbe stato avvisato da Campani che le procedure non sarebbero state regolari, cosa smentita categoricamente in aula dalla teste: la sperimentazione della Cura, in attesa di poter fare un appalto, era stata pensata per rispondere subito alle esigenze dei minori vittime di violenza in un contesto carente di professionisti adeguati. Il procedimento, ha aggiunto Campani, era forse macchinoso, ma collegato al fatto che la psicoterapia non era fornita direttamente dall’Asl, che con questa procedura ha dunque anche risparmiato il 50 per cento della spesa per le sedute di psicoterapia.

Campani ha anche chiarito il tema della comunità che, secondo l’accusa Anghinolfi e Francesco Monopoli - assistente sociale difeso da Nicola Canestrini e Giuseppe Sambataro - avrebbero voluto realizzare per proprio tornaconto, riferendo di un incontro tra le associazioni durante il quale la teste ha esposto un suo studio nel quale sosteneva che «tutte le soluzioni devono passare da procedure a evidenza pubblica». Una comunità la cui realizzazione rispondeva ad un’esigenza di interesse pubblico, dal momento che quelle presenti sul territorio, come dimostrato dai documenti depositati dalla difesa Anghinolfi, erano strapiene. Campani ha poi riferito, incalzata più volte sul punto dalla pm Valentina Salvi, che nell’ambito dei servizi sociali si parlava dell’indagine in corso con preoccupazione, data la presenza praticamente giornaliera dei Carabinieri nei locali dei Servizi per prelevare fascicoli. E la preoccupazione riguardava, soprattutto, la possibilità di aver commesso errori in buona fede, dato la mole imponente di lavoro affrontata da un servizio di dimensioni ridotte. Sambataro ha chiesto alla teste se Monopoli le avesse mai chiesto di falsificare dei documenti, cosa negata da Campani. Alla quale nessuno avrebbe raccontato di sue richieste o pretese in tal senso, così come nessun psicologo Asl ha mai riferito a Campani di “pressioni” fatte da Anghinolfi.