La proposta di legge Sciascia-Tortora, presentata alla Camera da +Europa e promossa dalle associazioni Amici Sciascia e ItaliaStatodiDiritto, non piace molto ai magistrati. Pomo della discordia la previsione che i tirocinanti effettuino una esperienza formativa obbligatoria in carcere non inferiore a 15 giorni, comprensiva soprattutto del pernottamento nelle case circondariali e di reclusione.

Da quanto appreso, al momento la Scuola superiore della magistratura organizza delle visite di un giorno, ma solo nelle case circondariali. Le future toghe incontrano il direttore dell’istituto, gli agenti e visitano i padiglioni. E va bene che la situazione resti così.

A sottoscrivere la pdl solo Marcello Bortolato, presidente del Tribunale di Sorveglianza di Firenze: «L’ho firmata perché ritengo indispensabile che la formazione dei giovani magistrati si arricchisca, anche dall’interno, della conoscenza del diritto penitenziario, calandosi ad esempio nella dura realtà del carcere, avendo ben presente, soprattutto nel momento dell’apprendistato, che la funzione afflittiva della pena ha una sua legittimità solamente in una cornice di legalità, umanità e ragionevolezza. Già lo fanno i francesi e non dimentichiamo che anche la Corte costituzionale, i massimi Giudici dello Stato, hanno fatto il loro viaggio nelle carceri alcuni anni fa, come è noto. Il problema della percezione della realtà carceraria è reale e purtroppo non riguarda solo la generalità dei cittadini, ma anche gli “addetti ai lavori” e dunque pure i giudici. Io credo che il tirocinio in carcere per i giovani magistrati, pur senza giungere all’eccesso di dormirvi di notte, magari in incognito, debba diventare un obbligo».

Semi-favorevole il pm Rocco Maruotti (rappresentante di Area nel Comitato direttivo centrale dell’Anm): «Al netto della previsione bizzarra e offensiva del pernotto in cella, rispetto alla quale non si può che essere contrari, in quanto, oltre a muovere da un intento chiaramente denigratorio, realizzerebbe un mostro giuridico, poiché integrerebbe una sorta di misura cautelare disposta in assenza dei presupposti previsti dal c.p.p., per il resto non si tratta di un’idea originale. Già Valerio Onida, da presidente della Ssm, la propose e, per alcuni anni, i mot hanno trascorso due settimane di tirocinio negli istituti penitenziari. Io sono uno di quelli e di quei 15 giorni a Regina Coeli ricordo ogni istante, perché ho avuto la possibilità di venire in contatto con un’umanità dolente che, invece, nelle aule di Tribunale ci sfila davanti molto velocemente e che, al contrario, durante quella esperienza ho potuto conoscere più a fondo. Ritengo sia un’esperienza utile anche a capire le condizioni in cui lavorano gli agenti di polizia penitenziaria e, in definitiva, a svolgere le funzioni di magistrato in modo più consapevole». Per il segretario di Area, Ciccio Zaccaro, «il diritto dell’esecuzione penale è purtroppo poco studiato e ben venga che la scuola della magistratura vi dedichi la giusta attenzione. Del resto, tante volte si sono organizzati stage nelle carceri. Sono contrario però a modificare le materie di esame. Il concorso in magistratura è molto impegnativo e selettivo e prevedere anche un esame su “diritto e letteratura” mi sembra troppo».

Contrario, senza se e senza ma, Stefano Musolino, segretario di Md: «È una proposta figlia di questi tempi bui, nutriti di sfiducia istituzionale. La convinzione che solo la sperimentazione viva delle difficoltà insite nella detenzione possa rendere il magistrato più sensibile al tema e consapevole del suo ruolo trascura l’esistenza degli attuali percorsi formativi che già prevedono efficaci modalità di conoscenza dei sistemi penitenziari. Peraltro, sono numerosissime le iniziative associative che ruotano intorno alle visite ai detenuti ed alla raccolta di contributi per consentire loro lo svolgimento di attività interne che si traducano nella creazione di prodotti da vendere all’esterno, in una logica di rottura della marginalità detentiva. Insomma, tra i molti problemi che attanagliano le nostre carceri e le vite dei reclusi, mi pare poco saggio concentrarsi su proposte eccentriche che spostano altrove l’attenzione, lasciando intendere una insensibilità della magistratura smentita dai fatti».

Contraria anche la vice presidente dell’Anm, Alessandra Maddalena (Unicost): «L’attuale situazione carceraria è drammatica e insostenibile e va affrontata seriamente e con urgenza dalla politica. Quello che non viene detto, e che tanti non sanno, è che la formazione accompagna i magistrati durante tutta la loro carriera e si unisce all’esperienza quotidiana nelle aule. La complessità della realtà penitenziaria non si comprende fingendosi carcerati per 15 giorni. L’approccio deve essere di tipo culturale, non esperienziale: non tutti i fenomeni complessi devono essere vissuti per essere compresi».

Abbiamo raccolto il parere anche di Costantino de Robbio, gip al Tribunale di Roma e già membro del direttivo della Ssm: «È una esperienza giusta quella di far vedere ai colleghi in tirocinio la realtà del carcere, così come facciamo vedere altre realtà con cui dovranno confrontarsi durante il loro lavoro: li facciamo partecipare alle indagini scientifiche, alle autopsie, facciamo vedere loro ovviamente le udienze e visitare il Csm. Anche il carcere ricade nell’attività lavorativa e quindi è giusto che sappiano cosa vuol dire irrogare una misura cautelare o emettere una sentenza. La proposta, tuttavia, mi sembra eccessiva in quanto non credo sia necessario dormire in carcere: i magistrati, come gli avvocati e tutti gli operatori del diritto, sono già in grado di rendersi conto dell’afflittività della pena».