Nulla di particolarmente nuovo sotto il sole: l’Anm maltratta gli avvocati. È di oggi la singolare scelta con cui il sindacato dei giudici ha ricordato il procuratore di Palermo Gaetano Costa, ucciso nel 1980: un post social che si affida la ricostruzione della barbarie alle parole di uno tra i più autorevoli giornalisti italiani in materia di lotta alla mafia e al terrorismo, Felice Cavallaro. Il quale offre una versione dell’omicidio del tutto particolare: «Gaetano Costa viene ucciso nell’agosto del 1980. Perché? Perché, come dice Chinnici, si era stabilito un sotterraneo patto con gli avvocati dei mafiosi per eliminare i processi per associazione a delinquere».

Ora, l’Anm pubblica il post anche su Instagram, che tra i vari social non è il più istituzionale. È la piattaforma utilizzata dai ragazzi per scambiarsi e proiettare immagini nel modo più vario. Messa lì, l’accusa agli avvocati che 45 anni fa sarebbero stati “complici” nell’omicidio di un magistrato diventa fatalmente un modo per far passare – anche tra un pubblico giovane e non necessariamente espertissimo, diciamo, di procedura penale – il messaggio per cui gli avvocati sono sostanzialmente mafiosi.

Naturalmente la reazione dei penalisti non si è fatta attendere. In un comunicato che riporta le parole di Francesco Petrelli, presidente dell’Ucpi, si osserva innanzitutto come, dopo la frase di Cavallaro sul “patto con gli avvocati”, «lo spezzone dell’intervista è interrotto, e dunque non è dato comprendere quale fosse l’originario senso del ragionamento del giornalista». Ma certo, «l’effetto per chi veda un video di tale fatta è quello che l’Anm accrediti la tesi che gli “avvocati della mafia” siano, non è chiaro a quale titolo, concorrenti nell’omicidio di Gaetano Costa. Si tratta di una affermazione gravissima», fa notare Petrelli, «in quanto investe l’intera avvocatura di una responsabilità diretta nell’uccisione del magistrato.

Ma ciò che risulta ancora più grave è il fatto che l’Anm abbia diffuso sulla propria pagina Instagram una simile dichiarazione mai riscontrata da alcuna sentenza, e oltretutto pesantemente infamante e denigratoria nei confronti della intera categoria e della stessa funzione difensiva, nell’odiosa equiparazione tra assistito e difensore e fra delitto e avvocato».

Difficile dissentire dal vertice dell’Unione Camere penali. Difficile dimenticare come già in passato, e non in modo estemporaneo, la magistratura abbia condiviso la teoria di una “intrinseca connivenza” fra i criminali e i loro difensori. Basti pensare all’ostilità che, negli anni scorsi, la magistratura e l’Anm in particolare hanno sistematicamente manifestato ogni volta in cui l’avvocatura – non solo l’Ucpi ma innanzitutto il Consiglio nazionale forense – ha reclamato una norma che vietasse in modo esplicito anche il mero ascolto delle conversazioni intercettate fra avvocato e assistito.

In molte occasioni, e parliamo di un dibattito che si è prolungato per lustri, le toghe hanno opposto alla controparte forense l’obiezione secondo cui l’ascolto di una telefonata fra un penalista e un indagato può essere indispensabile per verificare se, in quello scambio, non vi sia prova, o addirittura consumazione immediata, di un reato. C’è voluto Carlo Nordio, diciamolo, per introdurre, con il ddl penale tanto criticato dalla magistratura, un divieto un minimo più stringente, per polizia giudiziaria e pm, di “spiare” la strategia difensiva con la scusa di andare a caccia di penalisti delinquenti.

C’è poi un altro aspetto. Noi sappiamo bene che, a parte le temerarie teorie sulle connivenze criminali dell’avvocatura, l’Anm non è stata un esempio di distensione, nei confronti del Foro e dell’Unione Camere penali soprattutto. Sono diversi i casi di convegni e dibattiti in cui l’Anm, o le sue correnti, hanno esplicitamente dichiarato nei mesi scorsi di escludere la presenza degli avvocati in risposta, per esempio, all’assertività di alcuni titoli scelti, dall’associazione di Petrelli, per alcune sessioni dell’inaugurazione dell’anno giudiziario dell’Ucpi, in particolare relativi alla separazione delle carriere.

La lesa maestà si realizza in tanti modi, ci mancherebbe. Ma certo non si può dire che l’Associazione magistrati abbia optato per una linea simpatizzante. Nulla di clamoroso. Ma magari, il presidente dell’Anm Cesare Parodi sarà un filo più prudente, nel rivendicare la postura istituzionale e costruttiva del suo sindacato nel dibattito sulla riforma Nordio. Lasciamola stare, l’idea del dialogo. È la politica, bellezza. E l’Anm fa politica. A dispetto di un altro comunicato che ha diffuso oggi

Va tutto bene. Nessuno scandalo. Solo una cosa: fate caso, cari amici magistrati, al rischio di dare ragione a Meloni. Di avvalorare l’ipotesi di un disegno politico perseguito dalla magistratura. Sui migranti come su altro. Perché sapete, nella campagna per il referendum sulla riforma, se davvero passerà tra gli elettori l’idea che le toghe fanno politica, non è che i motivi per votare sì diminuiranno. Anzi.