Slitta di una settimana nell’Aula del Senato l'esame della riforma costituzionale per la separazione delle carriere. L’approdo nell’emiciclo era previsto per l’ 11 giugno ma ieri, durante la capigruppo riunita a Palazzo Madama, si è deciso di posticiparlo al 18 dello stesso mese.

Risultato al ribasso pertanto quello raggiunto dalle opposizioni: Pd, M5S, Avs e Iv auspicavano infatti in un rinvio a settembre. Essendo stata dunque insufficiente la mediazione non voteranno il nuovo calendario d’Aula la prossima settimana. «Ho comunicato ai Capigruppo che, proseguendo nel mio tentativo di mediazione (che mi hanno per la verità riconosciuto tutti), ho proposto alla maggioranza di accettare un rinvio di sette giorni più uno dell'esame del provvedimento» ha riferito il presidente del Senato Ignazio La Russa al termine della riunione.

La seconda carica dello Stato ha riferito ancora che non sono stati accolti i «doppi appelli» di fare sedute più estese, anche in notturna, da parte della Commissione e di ridurre il numero degli emendamenti.

Ne sono stati presentati poco più di mille e al momento la commissione Affari costituzionali ne ha discussi circa 250. È quindi molto probabile che il provvedimento arrivi all'attenzione dell'Assemblea senza aver potuto conferire il mandato al relatore. «Non è la fine del mondo» ha concluso La Russa.

La stessa serenità invece non è delle opposizioni: «È evidente - ha dichiarato il presidente dei senatori del Partito democratico Francesco Boccia - che la praticabilità del confronto democratico è sempre più limitata, mi pare di capire che la maggioranza sta obbedendo al governo, ancora una volta supina e si va verso un'umiliazione ulteriore del Parlamento e delle prerogative soprattutto delle opposizioni».

Il parlamentare dem ha poi attaccato il Guardasigilli: «Non abbiamo accettato il diktat del ministro Nordio che si è presentato qui in Parlamento, dicendo ’questa è la riforma e non si tocca’. Questa è una Repubblica parlamentare, non c'è il premierato per fortuna e soprattutto non decidono i ministri cosa deve fare il Parlamento, quindi segnaliamo che si va verso un percorso che non promette nulla di buono e aumenterà purtroppo le contrapposizioni e le tensioni che noi manterremo sempre nel rispetto del perimetro della democrazia», ha concluso Boccia.

Di diverso avviso il Ministro per i rapporti con in Parlamento, Luca Ciriani: «C'è stata la capigruppo in Senato: abbiamo aderito alla richiesta anche del presidente La Russa di spostare di una settimana l'arrivo della separazione delle carriere in seconda lettura al Senato. Avevo proposto alle opposizioni una road map per arrivare insieme a una data condivisa ma abbiamo capito che è impossibile. Le opposizioni vogliono far slittare all'infinito l'approvazione della seconda lettura della separazione delle carriere. Noi non possiamo stare a questo giochino per cui abbiamo accettato un'altra settimana però non oltre» anche perché, ha concluso, «la legge è arrivata il 16 gennaio in Senato, sono passati sei mesi, c'è stato tutto il tempo per discutere e per approfondire, adesso è il momento di approvare».

Insomma, da mesi assistiamo al solito ping pong: la maggioranza che accusa l’opposizione di fare semplice ostruzionismo, l’opposizione che accusa la maggioranza di mettere in atto un ‘ golpe istituzionale’, blindando una riforma costituzionale.

Le reciproche posizioni in questa partita a scacchi sono ormai chiare. Da una parte il Governo e i propri ‘azionisti’ sono consapevoli che all’appuntamento referendario dovranno assumersi la responsabilità politica di aver portato avanti una modifica costituzionale senza approvare neanche un emendamento delle opposizioni.

Dall’altra parte le opposizioni, pur non dichiarandolo apertamente, sanno benissimo che, come sostengono gli esperti di scienze politiche, i referendum sono soggetti a quello che si potrebbe definire un «effetto luna di miele».

Se li si tiene rapidamente, è probabile che si vincano. Se li si tiene a fine mandato, è probabile che si perdano. La presentazione di oltre 1000 emendamenti e la richiesta del rinvio dell’approdo nell’Aula del Senato andavano proprio in questa direzione: procrastinare quanto più possibile il giorno del referendum in quanto più lo si avvicina al rinnovo del Parlamento tanto maggiore - e fisiologico sarà il calo di consensi verso la maggioranza.

Strategia comprensibile quella del Partito democratico che però in vista del referendum costituzionale dovrà affrontare pure un problema interno. Infatti l’ultimo Rapporto Italia dell’Eurispes, reso noto qualche giorno fa, ha fatto emergere come tra gli elettori di sinistra «una quota minoritaria (ma non trascurabile) del 47,5% si dichiara favorevole alla separazione delle carriere - centro- sinistra: 60% di favorevoli».